Lo stretto rapporto tra la finanziarizzazione dell'economia e la speculazione immobiliare, compreso il fenomeno dei subprime, ha prodotto la precarietà alloggiativa attuale. Dopo che le politiche bipartisan di incentivazione all'acquisto della casa sostenute attivamente anche dai sindacati concertativi e l'approvazione della legge 431/98 hanno creato le condizioni adatte, sono state le famiglie con i loro mutui a finanziare le banche e le grandi proprietà immobiliari, che hanno continuato a costruire senza posa. Mentre spariva il segmento residenziale pubblico e gli enti iniziavano le grandi dismissioni.
In questo quadro si è affermato il meccanismo delle “case di carta”, dove la compravendita anche di immobili vuoti produceva finanze e l'emergenza abitativa galoppante veniva usata per operazioni di dubbia utilità sociale (creazione di fondi ad apporto pubblico) ma di facile arricchimento per spregiudicati personaggi di nuovo profilo e per i vecchi signori del mattone.
Le politiche urbanistiche nelle grandi città hanno fatto il resto regalando migliaia di metri cubi di cemento residenziale privato ai grandi elettori di turno. In mancanza di case ad affitto sostenibile molti si sono imbarcati in mutui onerosi e di lungo periodo. L'innalzamento dei valori della rendita fondiaria ha dato il colpo di grazia ad un mercato che ha visto prevalere le forme più sfrenate nella libera vendita e una vertiginosa ascesa dei canoni di locazione. La conseguenza più drammatica è rappresentata da un sempre maggior numero di sfratti per morosità. Negli ultimi 5 anni ne sono stati emessi 175mila. Se a questi aggiungiamo le 750mila famiglie con i contratti scaduti e che non potranno sopportare aumenti di canone, le 600mila domande di alloggio popolare in attesa di una risposta, gli oltre 2 milioni di nuclei coabitanti per necessità (solo tra gli immigrati questa condizione riguarda 1 milione e mezzo di persone), i circa 8,5 milioni di giovani tra i 20 e 34 anni che anche a causa della precarietà reddituale vivono ancora in famiglia.
Una platea sofferente alla quale dobbiamo dare strumenti di organizzazione, di resistenza, di capacità conflittuale e di definizione delle possibili soluzioni.
Anche il pacchetto edilizio spacciato per “piano casa” da Berlusconi traccia soluzioni e l'intesa del 31 marzo 2009 della Conferenza Stato-Regioni ed Enti locali conviene, 6 giorni prima del sisma aquilano, di favorire il rilancio dell'economia attraverso l'introduzione di incisive misure di semplificazione procedurale dell'attività edilizia.
Con la scusa di dover rispondere ai bisogni abitativi delle famiglie si disegna un piano composto di premi di cubature e di interventi di demolizione e ricostruzione, che dovrà essere approvato dal Consiglio dei Ministri e che ad oggi non ha visto ancora la luce.
Questo progetto crea un forte immaginario individualista e contestualmente invita le Regioni a coglierne le opportunità. Molte amministrazioni stanno già lavorando al piano, la Regione Veneto lo ha già approvato, e non possiamo dire che nel paese si sia sviluppata una particolare opposizione all'iniziativa berlusconiana, anzi anche nel centrosinistra e tra i sindacati concertativi si affaccia l'idea che il piano offra anche occasioni utili, soprattutto per quanto riguarda l'incremento di cubature per il patrimonio abitativo pubblico.
Possiamo dire che in alcune città c'è un attivismo pregresso sul tema casa e che chi è al lavoro sta provando ad andare oltre la critica ideologica al pacchetto edilizio, anche costruendo come a Roma ipotesi legislative dal basso.
Per cui data la situazione in movimento dentro una fase di crisi e verso l’Assemblea Nazionale CUB del 22/24 maggio proponiamo una riunione nazionale per domenica 10 maggio 2009 a Roma per mettere in relazione esperienze ed iniziative, e con l'intento di lavorare ad un documento utile per portare la questione casa con più forza all'interno del dibattito di Cattolica.
La riunione si terrà domenica 10 maggio alle ore 10.00 in via dell’Aeroporto 129 a Roma.