Anni e anni di crisi finanziaria, la peggiore mai conosciuta nell’era moderna per durata e profondità, milioni di disoccupati, tagli furiosi ai bilanci statali che hanno ridotto al lumicino alcuni dei migliori Welfare nazionali, attacchi altrettanto furiosi ai diritti dei lavoratori, privatizzazioni a gogò, riduzione della democrazia a simulacro a favore di una governance che obbedisce ai diktat dei burocrati europei che a loro volta obbediscono alle ragioni di un mercato finanziario che ormai non ha più alcun contatto con la realtà.
Erano molto preoccupate le vestali del mercato e della finanza, non a caso a favore del remain sono scese in campo tutte le istituzioni possibili, politiche, economiche, sociali, e i loro leader, i mass media con in testa il Financial Times, espressione della City di Londra, prefigurando sfracelli e sventure.
Come meravigliarsi se oltre all’alta affluenza alle urne, l’uscita dalla UE ha avuto la meglio nelle zone più popolari, nelle cittadelle operaie e nelle campagne, cioè tra quelli che stanno pagando duramente la crisi, mentre la scelta per rimanere ha avuto la meglio a Londra?
Purtroppo nella campagna in favore della permanenza nell’Unione Europea si sono spese anche molte forze di sinistra, compreso il Labour Party che pure con il suo nuovo leader si era distaccato dall’ipotesi terribilmente filoberista di Blair. Tra coloro che hanno interpretato dalla parte giusta la rabbia dei ceti popolari ci sono stati alcuni deputati laburisti e soprattutto l’RMT , il sindacato inglese dei trasporti.
Troppi hanno lasciato alla destra, agli xenofobi, ai nazionalisti più faziosi, la bandiera dell’opposizione a questa costruzione europea, alle sue leggi e ai suoi trattati.
Che almeno questa lezione serva a far riflettere tutti coloro i quali considerano una catastrofe la rottura dell’Unione Europea e l’uscita dall’Euro, ancorati ad un ipotetico "piano B" che non ha alcuna possibilità di attuazione.
Forse che non ci ha provato la Grecia, umiliata e ridotta alla fame dall’intransigenza tedesca?
Ma c’è da considerare anche un altro fatto: ogni volta che la gente ha potuto esprimersi con il voto sui trattati scritti nelle segrete stanze di Bruxelles li ha bocciati: è successo in Francia e Olanda, Irlanda, Danimarca, Grecia e per ultima la Gran Bretagna. Dello stesso segno d’altronde, la ribellione alla Loi Travail che sta coinvolgendo in scioperi e manifestazioni milioni di lavoratori, disoccupati, studenti a Parigi e in tutta la Francia.
Le élite finanziarie ed economiche, le multinazionali, controllino pure i centri nevralgici del potere, ma non possono riuscire a convincere le centinaia di milioni di donne e uomini impoveriti che tutto ciò è per il loro bene.
Questo non le rende certo meno pericolose, in passato ciò ha prodotto fascismi, guerre, distruzioni immani, ma oggi c'è la possibilità e la necessità di reagire allo strapotere dei pochi sui molti, all'impoverimento progressivo di decine di milioni di persone, allo sfruttamento, ai margini di guadagno sempre più ampi della finanza internazionale e dei grandi gruppi economici.
E’ ora che in Europa e in Italia si prenda in mano dalla parte giusta la bandiera della rottura dell’Unione Europea, approfondendo la discussione sulle sue caratteristiche strutturali, socializzandole, cominciando un percorso politico concreto che impedisca alle forze di destra nel nostro paese di rappresentarsi come i difensori dei ceti popolari. Non lasciamo a costoro le parole d'ordine di una possibile ITALEXIT.
USB si è già incamminata su questa strada contribuendo allo sviluppo della Piattaforma Sociale Eurostop, partecipando alla campagna per il NO al referendum Costituzionale e costruendo il percorso che ci porterà allo sciopero generale del prossimo autunno.
Aderente
alla FSM