Sulla modifica dell’articolo 138 della Costituzione si è aperto un gran dibattito e si annunciano mobilitazioni e schieramenti anche inediti per difenderne l’attuale scrittura, come quella convocata per il 12 ottobre.
Da profani quale siamo proviamo a ragionare anche noi sulla nostra Costituzione, o meglio, su quello che ne è rimasto e quindi su cosa ci si chiede di difendere.
La prima cosa che salta agli occhi è che buona parte dei dettati costituzionali in materia di diritti e doveri dei cittadini Italiani è oggi poco più che enunciazione e che la sua realizzazione interessa a ben pochi. Basta leggere con un po’ di attenzione gli articoli 3 e 36 per averne un esempio eclatante:
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese
Art. 36
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.
Ebbene non un postulato di quegli articoli è oggi realizzato, anzi nella vita di tutti i giorni, negli atti che i Governi propongono e il Parlamento approva, ma soprattutto nella “costituzione materiale” cioè nella vita di tutti i giorni, sono contenuti elementi che vanno in direzione del tutto contraria. Pochi hanno una retribuzione degna di tale nome, l’intensità della produzione ei tempi di lavoro vanno molto al di la delle previsioni legislative, il ricatto delle aziende sui lavoratori, soprattutto i precari, rende pressoché impossibile fruire di riposo certo, come ben evidenziano le belle e sacrosante mobilitazioni nel commercio contro il lavoro domenicale e festivo obbligatorio.
Anche l’articolo 39 sulla libertà sindacale attende da sempre di trovare attuazione e ciò ha consentito di produrre veri e propri mostri giuridici, consentendo a Cgil, Cisl Uil e Confindustria di arrivare a sostituirsi al legislatore e di definire loro, e per loro, i criteri di applicazione di questo articolo realizzando una “conventio ad excludendum” nei confronti di chiunque cerchi di affermare il pluralismo sindacale e regole democratiche di rappresentanza dei lavoratori.
Se poi andiamo ad analizzare le più recenti modifiche costituzionali, assunte in ossequio agli interessi del capitale e ai diktat europei, troviamo che la riforma del titolo V della Costituzione ha completamente rovesciato il concetto di sussidiarietà voluto dai Costituenti: non si prevede più che il “privato” possa intervenire laddove il “pubblico” non sia interessato o non arrivi a fornire servizi ai cittadini bensì l’esatto contrario: il “pubblico” può intervenire solo laddove il “privato” non manifesti interesse ad intervenire. In poche parole hanno costituzionalizzato l’assunto che i gioielli di famiglia vanno ai privati e al pubblico rimane ciò che non è conveniente gestire per il privato. Tutto ciò è avvenuto con la condivisione pressoché di tutto il Parlamento dell’epoca.
Per ultimo la recentissima introduzione del “pareggio di bilancio” nella nostra Costituzione ha prodotto l’impossibilità per il nostro Paese di definire le proprie scelte economiche e ha definitivamente ceduto un pezzo consistente della nostra sovranità nazionale in campo economico alla BCE, all’UE e al FMI.
Sarebbe quindi opportuno, prima di chiamare alla mobilitazione in difesa della Costituzione, avviare una profonda riflessione sulla nostra attuale Costituzione, non sui suoi principi, ma su quanta parte se ne è realizzata, quanto è stata stravolta, se risponda ancora – se mai vi abbia risposto, visto il compromesso di cui è figlia – alle esigenze di una democrazia vera e compiuta. A meno che la mobilitazione a cui si chiama non abbia obbiettivi diversi e certamente meno nobili di quelli dichiarati. A vedere i soggetti, o almeno una parte dei soggetti che l’hanno proclamata, il dubbio è lecito.