Molti di noi hanno sentito il preside nel Collegio dei Docenti di inizio d’anno scolastico avvertire che, ora che c’è la legge Brunetta, possono decidere tutto da soli, possono infischiarsene delle RSU e chi dissente rischia grosso, al punto da pregiudicare la carriera.
In alcuni istituti sono stati proposti regolamenti per attribuire punti in funzione della valutazione dei lavoratori (subito respinti dal Collegio), mentre in altri le RSU dicono esplicitamente che da quest’anno il fondo d’istituto verrà attribuito mediante “pagelline”.
In realtà ai presidi i super poteri non sono ancora stati dati perché il governo ha bloccato il rinnovo dei contratti; senza rinnovo gran parte della Legge 150 non è applicabile.
Sappiamo che il ministro spinge affinchè la sua legge entri comunque nei contratti d’istituto e che i dirigenti vengono spinti ad assumere ruoli autoritari dall’amministrazione, dall’associazione nazionale presidi e da RSU di sindacati collaborazionisti che sperano di ricavare potere negoziale dalla contrattazione decentrata.
Più che le singole misure, della legge Brunetta risultano agghiaccianti i messaggi culturali intrinseci: 1) il lavoratore deve essere sfruttato al massimo, non per garantire migliori servizi, ma per estorcergli maggior profitto economico; 2) i dirigenti devono essere i “cani da guardia” dei ministeri e terrorizzare i lavoratori con provvedimenti disciplinari e classificazioni volte a determinare una quota di “fannulloni” stabilita per legge; 3) i lavoratori devono scannarsi gli uni con gli altri per ricevere una valutazione positiva e poter quindi sperare di ricevere quanto ricevevano prima (ricordate le quote fisse 25-50-25%?).
Il compito di ogni lavoratore della scuola è chiaramente quello di non fare favori a Brunetta e di impedire che la legge venga inserita nei contratti d’istituto, ma se ciò avvenisse, per la complicità di RSU deboli o compiacenti, è doveroso rifiutare la guerra tra poveri che spezza il vincolo solidaristico tra i lavoratori.
Il blocco dei contratti e degli scatti d’anzianità ci condanna tutti ad un futuro di stenti economici che non potranno certo essere alleviati dalle briciole del fondo d’istituto, ottenute a danno dei propri colleghi.
A breve verrà emanata la circolare ministeriale per l’applicazione delle norme disciplinari. E’ chiaro l’intento di creare un clima di terrore nella categoria attraverso la minaccia di sanzioni facili e maggiori poteri attribuiti ai presidi.
Contro la ventata autoritaria dell’amministrazione l’unica barriera sarà costituita dalla compattezza dei lavoratori che dovranno sollevarsi collettivamente ogniqualvolta venisse colpito un collega.
Ci spieghiamo ora perché si continuano a rimandare le elezioni RSU, perché se ne vogliano limitare i poteri o addirittura eliminarle.
Le RSU, se saranno espressione dei lavoratori, potranno fornire una prima barriera contro le pretese dei presidi e c’è il terrore che le elezioni facciano emergere sindacati e delegati conflittuali.
Da anni infatti i dirigenti sono abituati a RSU che, nella maggior parte dei casi, sono complici ed esercitano un mero ruolo notarile rispetto alla gestione delle scuole.
Come USB Scuola stiamo dimostrando che i dirigenti non sono onnipotenti e che, se il singolo è debole e ricattabile, i lavoratori organizzati collettivamente nel sindacato di base, possono fermare le mire autoritarie dei presidi, sia sul piano giuridico che su quello della mobilitazione.
Di fronte al nostro intervento spesso i dirigenti restano smarriti, tanto erano disabituati a doversi confrontare con il sindacato vero, quello conflittuale e dalla parte del lavoratore, quello che non fa sconti perché non ha dirigenti tra i suoi iscritti.