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Codice di comportamento dei dirigenti e dei dipendenti della PCM o strumento di restrizione dei diritti, libertà e democrazia nei posti di lavoro?

Roma,

L’Amministrazione alla fine di luglio u.s. ha pubblicato attraverso il sito del Governo una bozza del codice di “Comportamento e di tutela della dignità e dell’etica dei dirigenti e dei dipendenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri”.

Tale regolamento doveva essere oggetto di confronto con le rappresentanze dei lavoratori (Organizzazioni sindacali, RSU e CUG-Comitato Unico di Garanzia), così come previsto dalle norme vigenti e ciò non è avvenuto.

Dopo la protesta della USB e di altre OO.SS. l’Amministrazione ha convocato per il 28 agosto(!) u.s. il CUG (organismo paritetico amministrazione-sindacati) al fine non di “correggere” un testo fortemente sbilanciato e limitativo dei diritti dei dipendenti, ma di ottenere l’avallo del CUG senza la presenza della maggioranza delle rappresentanze dei lavoratori (erano presenti al tavolo, guarda caso, tutti i componenti dell’Amministrazione, la USB, la CISL, e due sigle rappresentanti i dirigenti). Dunque un tavolo non rappresentativo!

La USB non si è prestata a questa commedia!

Infatti ha chiesto al Presidente del CUG, proprio per permettere un confronto costruttivo con tutte le rappresentanze, di rinviare di un settimana la riunione. Il presidente ha rifiutato tale proposta mostrando una palese impazienza di giungere all’approvazione del testo.

A questo punto i componenti della USB, vista l’impossibilità di una discussione democratica su di un provvedimento che coinvolge pesantemente i dipendenti della PCM, hanno rassegnato le dimissioni esprimendo la più completa disapprovazione nel merito e nel metodo…

E ora veniamo al contenuto del Codice di comportamento:

In riferimento al codice predetto, a nostro avviso pleonastico, perché il contenuto è già ben rappresentato da numerose norme di legge e contrattuali, l’amministrazione con il pretesto di completarlo ai sensi del DPR 62/2013 e integrarlo con il piano anticorruzione, inasprisce la condizione lavorativa dei dipendenti, come nel caso della soppressione della libertà di espressione e di critica (non certo di offesa) nei confronti dell’Amministrazione e il divieto di sostare negli spazi comuni se non per ragioni lavorative.

La questione più importante che viene ribadita è quella che i dipendenti possono denunciare all’Ufficio procedimenti disciplinari la violazione (circostanziata o meno) del codice di comportamento da parte di altri colleghi, senza che l’accusato possa conoscere il nome dell’accusatore, …avendo assicurate le garanzie in materia di tutela di chi ha segnalato fatti rilevanti a fini disciplinari…(sic!).

Inoltre l’amministrazione lega il codice per la salvaguardia dell’etica e della dignità dei dipendenti della PCM a criteri di premialità individuale, cosa non prevista da alcuna normative di riferimento.

Mentre il DPR 62/2013 considera tutti i dipendenti pubblici contrattualizzati interessati al codice di comportamento, quindi anche i dirigenti, viceversa l’amministrazione nel provvedimento suddetto, distinguendo le due posizioni, ha relegato i dirigenti a meri controllori in merito all’applicazione del regolamento esautorandoli in alcuni casi dalle loro prerogative(…ma chi controlla il controllore?) e indicando i dipendenti come potenziali indiziati di possibili violazioni.

E’ quasi superfluo sottolineare che Usb è pienamente d’accordo nel voler porre seriamente fine alla dilagante corruzione che imperversa nel nostro Paese, individuando i veri responsabili di questa vergognosa piaga che non sono certamente i dipendenti additati dal regolamento presentato (vedi MOSE, EXPO 2015, appalti pubblici, esternalizzazioni, ecc…).

A questo punto pretendiamo un confronto “vero”, in conformità agli stessi criteri di correttezza, lealtà, trasparenza e democrazia, contenuti nel codice di comportamento imposto dall’Amministrazione.

 

5 settembre 2014

 

USB Pubblico Impiego

Coordinamento Nazionale PCM