Come se non bastassero i milioni di persone impossibilitate a curarsi per problemi economici, i ticket e le liste d’attesa, il taglio dei posti letto e la chiusura degli ospedali di comunità, l’inesistenza di una rete sanitaria territoriale e l’enorme carenza di personale d’assistenza, nel gran calderone della Sanità italiana spunta una brillante iniziativa: l’infermiere di parrocchia.
Promosso dall’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute della CEI, in collaborazione con la ASL Roma 1, il progetto partirà in via sperimentale a settembre in Piemonte, Lazio e Basilicata e prevede che un infermiere del SSN e un coordinatore parrocchiale della Pastorale della salute si incontrino – in parrocchia – due o tre volte alla settimana per fare il punto sui bisogni sanitari dei parrocchiani e dei loro familiari, al fine di “trovare il modo di agevolare l’accesso di determinate prestazioni”, come spiega a Vatican News don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute della CEI (nonché firmatario dell’intesa).
Come questa intesa possa soltanto pensare di obbligare personale laico, assunto tramite concorso per lavorare in un servizio pubblico e pagato da TUTTI i cittadini, ad andare in parrocchia per “agevolare” il diritto di alcuni facendo carta straccia di un bel po’ di articoli della Costituzione italiana, è cosa che cercheremo di capire non appena leggeremo i termini dell’accordo firmato da CEI e SSN.
Intanto denunciamo la gravità della cosa e disconosciamo la validità di un accordo che si basa sulla discriminazione dei cittadini, a cominciare da quella basata sulla religione. Ma non solo: cosa succederebbe, ad esempio, se in parrocchia si presentasse l’esigenza di un’interruzione di gravidanza, prevista da una legge dello Stato ma condannata dalla Chiesa?
La malattia è fonte di povertà, USB lo ha sempre sostenuto, così come l’importanza della costruzione di una rete di sostegno per le cronicità, ma è inconcepibile che le risposte siano pensate per gruppi selezionati in base alle frequentazioni religiose. Ed è inconcepibile che a firmare una simile intesa sia il servizio sanitario pubblico. I diritti se non sono di tutti diventano privilegi.
Ci aspetteremmo, da chi si dice preoccupato per l’impoverimento dell’offerta sanitaria, non la ricerca di scorciatoie contro le liste d’attesa per l’accesso al servizio sanitario pubblico dei propri parrocchiani, ma la costruzione di soluzioni strutturali per tutti i cittadini.
In Italia servono il finanziamento adeguato del SSN, l’investimento nella rete dei servizi territoriali – sanitari e sociali -, l’incremento della prevenzione, il ritorno nelle mani del pubblico della riabilitazione, il sostegno alle cronicità.
Altrimenti, indebolito e messo in crisi il Servizio Sanitario equo ed universale, esisterà sempre e solo la discriminazione. E alcuni avranno più diritti degli altri. Per grazia ricevuta.