La recente operazione condotta dall'Agenzia delle entrate a Cortina d'Ampezzo impone una riflessione sul tema dell'evasione fiscale. Innanzitutto stentiamo a credere che la voce da cui provengono alcune minacciose dichiarazioni di guerra agli evasori, sia la stessa che qualche mese fa minacciava di sanzioni disciplinari, fino a paventare il licenziamento, i verificatori fiscali che si accanivano sui poveri soggetti verificati. Allora, era maggio 2010, a finire sul banco degli imputati, accusati di vessazione e persecuzione, furono le nostre colleghe e i nostri colleghi. Oggi, per fortuna anche se tardivamente, le posizioni vengono almeno concettualmente correttamente ristabilite.
Inoltre, poiché a pensare male nel nostro Paese si fa sempre bene, ci chiediamo se questa ribalta mediatica offerta alla lotta all'evasione fiscale non serva semplicemente a legittimare il pugno di ferro che il governo Monti, in perfetta continuità con il precedente, sta usando con le lavoratrici e i lavoratori. Tutto sommato, se passa l'idea che in Italia si comincia veramente a fare la lotta all'evasione fiscale (e non ci crediamo finché non vedremo i fatti) gli enormi sacrifici imposti con le manovre e con i prossimi interventi sul lavoro, saranno meno impopolari o saranno spacciati per sacrifici equi. Ma le operazioni come quelle condotte a Cortina in queste ore, hanno un concreto fondamento o servono solo a "raccontare" al Paese qualcosa che in realtà non c'è?
Tecnicamente, si tratta di controlli formali su scontrini e fatture e a giudicare dalle reazioni dei soggetti controllati, sono bastati una ottantina di funzionari sul campo, in luoghi-simbolo della ricchezza (e quindi anche dell'evasione) per seminare il panico e raccogliere ottimi risultati. I controlli formali non sono inutili ed è un peccato che negli ultimi anni siano quasi spariti dagli obiettivi annuali che il Ministro ha assegnato alle Agenzie fiscali. L'utilità dei controlli formali ha un valore pratico e ha anche un valore psicologico perché segna la presenza vigile del Fisco sul territorio.
Questi due aspetti sono, come dicevamo, in perfetta antitesi con le dichiarazioni che fino a giugno scorso venivano rilasciate dall'ex ministro Tremonti, secondo cui il Fisco vessava le imprese e i professionisti. Quelle dichiarazioni, in cui noi ravvisammo l'induzione all'evasione di Stato, hanno fatto male alle casse erariali e anche alle donne e agli uomini del Fisco che con dedizione e alta professionalità combattono la piaga dell'evasione.
Ma nessuno è così ingenuo da pensare che bastino queste operazioni a risolvere o anche solo a intaccare il problema dell'evasione fiscale, che per durata storica e proporzioni economiche assume i contorni di un vero e proprio flagello sociale.
Autorevoli tecnici ritengono che per combattere l'evasione fiscale basterebbe una legge con un articolo e tre commi: moneta elettronica, elevata deducibilità delle spese per tutti, pene severe per gli evasori, documenti fiscali telematici, contabilità elettronica, lo sblocco del e una massiccia campagna di nuove assunzioni, perché la media italiana (un funzionario dovrebbe presidiare decine di migliaia di atti fiscali) è inadeguata alle proporzioni del fenomeno, ma anche alla media europea.
Non volendo cedere a queste semplificazioni e volendo ammettere che la faccenda sia un po' più complicata diciamo comunque che la lotta all'evasione fiscale non si fa non per impossibilità tecnica ma perché è da sempre un obiettivo politico scomodo. A nessuno sfugge che gli evasori sono anche elettori o addirittura finanziatori politici e inoltre, alcuni comportamenti appartengono a un culturale molto diffuso.
Uno dei nodi centrali è la percezione che presso i contribuenti si ha dell'uso che si fa delle risorse recuperate. E qui veniamo al punto. Se la lotta all'evasione fiscale viene annunciata nell'ambito del programma di risanamento del debito pubblico e se le maggiori risorse che verranno forse recuperate finiranno nel pozzo senza fondo della crisi, allora siamo di fronte a un'operazione inutile che servirà solo a legittimare il rigore e l'equità di montiana ispirazione. Se invece siamo di fronte al tentativo di aprire una fase nuova, allora è necessario che le maggiori risorse recuperate siano destinate chiaramente e pubblicamente a precisi obiettivi sociali, che vadano nella direzione di finanziare servizi pubblici, forme di sostegno al reddito, piani di occupazione stabile per i giovani, investimenti sulla Pubblica Amministrazione, che è la fonte di erogazione di servizi pubblici efficienti, universali, gratuiti o a bassissimo costo. La base, correggibile ma necessaria della nostra società, del nostro modo di stare insieme.
Il governo Monti si appresta a varare la "fase due" della sua azione di governo. La "fase uno" è stata e sarà dolorosissima per il ceto a reddito fisso, duramente colpito da nuove imposte, aumenti tariffari e inflazione pilotata. La "fase due" sarà caratterizzata da un ulteriore intervento - altrettanto duro - sul lavoro pubblico: mobilità coatta, licenziamenti, ulteriori riorganizzazioni e accorpamenti fra enti e amministrazioni, nel segno di quanto è già drammaticamente accaduto con l'INPDAP e il SUPER-INPS.
Se verrà ulteriormente ridimensionata e smantellata la Pubblica Amministrazione, non avrà senso combattere la piaga dell'evasione perché si rafforzerà nelle persone il convincimento che la sfera pubblica è un peso inutile e si indebolirà quel sistema dal quale comunque dipende l'erogazione dei servizi pubblici. A quel punto, nessuno riterrà utile o giusto pagare le tasse, figuriamoci chi non le ha mai pagate. E a pagarle saranno come sempre i soliti, ricordando che oggi l'80% del gettito fiscale grava sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti.
Per essere veramente utile e credibile, la lotta all'evasione fiscale deve essere accompagnata dal finanziamento e dal sostegno della spesa per la Pubblica Amministrazione e per lo Stato sociale. Il debito che ci vogliono far pagare non è pubblico ma privato: ha arricchito banchieri e speculatori di ogni nazionalità e come accadeva nelle società feudali, quel debito che ha ingrassato i pochi, vogliono farlo pagare ai molti. Questo è il principio per cui diciamo che il debito non è nostro e che deve essere pagato da chi lo ha provocato. Gli evasori fiscali vanno perseguiti, ma se i proventi dell'evasione non verranno investiti in spesa pubblica, è molto probabile che torneranno nelle tasche di chi fino a oggi ha evaso ed eluso le leggi tributarie per arricchirsi alle spalle della collettività. Nella misura in cui si affermerà il principio che PUBBLICO è meglio che PRIVATO, allora ci saranno buone chance di ridimensionare il fenomeno dell'evasione fiscale. In caso contrario, basterà non farsi trovare nel posto sbagliato, nel giorno sbagliato per continuare a evadere e arricchirsi alle spalle di chi paga le tasse fino all'ultimo euro.
Noi invitiamo le lavoratrici e i lavoratori del comparto Fisco a continuare a svolgere con dedizione e professionalità il loro ruolo sociale, non tralasciando però di lottare per ottenere il riconoscimento dei loro diritti negati. Li ricordiamo: un contratto che oggi è bloccato fino al 2017, una retribuzione che per quattro anni sarà ferma ai livelli del 2010, sviluppi professionali che oggi sono episodi solo occasionali e sporadici nella vita lavorativa di ognuno di noi.
Ci sono due occasioni imminenti da non perdere: la possibilità di presentare e sostenere liste USB Pubblico Impiego per il rinnovo delle RSU il 5-6-7 marzo 2012, per la quale abbiamo deciso di accettare e sostenere la candidatura mettersi in gioco in prima persona anziché delegare ad altri la difesa dei propri diritti. E la partecipazione allo sciopero generale del prossimo 27 gennaio, per dire al governo Monti, alla UE e alla BCE che è ora di finirla con le loro crisi, che il debito deve essere pagato da chi l'ha provocato.
Se la lotta all'evasione fiscale è una priorità, la difesa dei nostri diritti non viene dopo: sono due facce della stessa medaglia, dalla quale dipende il nostro futuro.
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