Icona Facebook Icona Twitter Icona Instagram Icona Telegram Icona Youtube Icona Rss

Emilia Romagna PRIVATO

CONTRATTO INTEGRATIVO TERRITORIALE COOPERATIVE SOCIALI - BOLOGNA E IMOLA

Bologna,

 

PER CGIL CISL E UIL IL PROBLEMA SONO I LAVORATORI

Bologna - <time datetime="1521631560" class="news-single-date">mercoledì, 21 marzo 2018</time>

Sembrerebbe essere in dirittura d’arrivo la firma sul Contratto Integrativo Territoriale per le Cooperative Sociali di Bologna e Imola, e a quanto ne sappiamo non saranno tutte rose e fiori per i lavoratori del settore.

A otto anni dalla firma dell’ultimo integrativo, sindacati e centrali cooperative (le due triplici cgil-cisl-uil e legacoop-confcooperative-agci), in una trattativa durata anni che ha visto i sindacati convocare mobilitazioni e scioperi per contestare l’ostracismo dei padroni a chiudere un accordo che restituisse dignità e salario al migliaio e passa di lavoratori della provincia, possiamo dire che la montagna ha partorito il topolino.

Un topolino malvagio, che roderà i diritti e lo stesso salario utilizzando le tagliole dei nuovi paragrafi che questo contratto introduce.

Andiamo a vedere di cosa trattano questi paragrafi, almeno quelli che introducono le principali novità e proviamo a ragionare sugli effetti che producono sulla vita e sul portafoglio di chi lavora nel settore.

 

1- PROTOCOLLO PER IL PERSONALE CON LIMITAZIONI FUNZIONALI

Ci si comincia a porre il problema del lavoro usurante nel nostro settore e delle soluzioni “di sistema” che si possono mettere in campo. Fino ad oggi infatti, nessuna soluzione era data al problema di quei colleghi che, a causa delle condizioni di lavoro, del suo carico e dei suoi ritmi, dopo anni di servizio riportavano importanti limitazioni funzionali e venivano, quando non mandati a casa, messi nello sgabuzzino a pulire gli stracci.

Cosa dice il paragrafo in questione? Che il riconoscimento del problema per coloro ai quali sono state riscontrate importanti limitazioni funzionali è un problema che richiede la convocazione delle parti per discutere della “possibilità” di ricollocazione. Per fare questo si attuerà una mappatura dei servizi, dell’incidenza degli infortuni e delle malattie professionali, degli ausili in dotazione ai servizi, del numero di lavoratori con limitazioni e delle tipologie delle limitazioni.

Lo scopo di questa mappatura? condividere informazioni, prevenzione e opportunità di ricollocazione tramite formazione/riqualificazione, eventualmente sperimentando sinergie con cooperazione tipo B.

In una battuta, passare da operatori dei servizi ad utenti degli stessi servizi!

Realisticamente il progetto è di utilizzare le cooperative di tipo B come camera di compensazione per i lavoratori (divenuti) svantaggiati, i quali potranno essere assunti a costo zero come da art. 4 Legge 381/91: Le aliquote complessive della contribuzione per l'assicurazione obbligatoria previdenziale ed assistenziale dovute alle cooperative sociali, relativamente alla retribuzione corrisposta alle persone svantaggiate di cui ai presente articolo, sono ridotte a zero.

Altro elemento a costo zero del capitolo è l’estensione del periodo di Comporto (il mantenimento del posto di lavoro, in aspettativa non retribuita, per coloro affetti da patologie gravi ed invalidanti) da 12 a 18 mesi nell’arco del triennio.

 

2- INTEGRAZIONE ART. 37 CCNL

La stesura di questo paragrafo si limita a registrare nero su bianco una prassi in essere da tempo sul nostro territorio. Una prassi imposta a suon di mobilitazioni e lotte dei lavoratori per il riconoscimento dei propri diritti nei cambi d’appalto. Nella cornice dell’art. 37 del CCNL si costruisce l’obbligatorietà per le parti di impegnarsi ad incontrarsi tra parte cedente, subentrante e OO.SS. con obiettivo di redigere un verbale d’accordo. La cogenza di tale obbligatorietà sta nel passaggio che impone che l’impresa cessante entro 5 gg dall’aggiudicazione della gestione deve trasmettere a impresa subentrante e OO.SS. l’elenco dei lavoratori completo (t. determinati e indeterminati, inquadramenti, anzianità ecc.)

Si potrebbe definire questo passaggio come il canto del cigno della “concertazione” che si alza dai pochi tavoli territoriali dove il consociativismo tra le coop e i sindacati ancora (e per quanto ancora?) resiste.

Il regalo vero sta infatti nel passaggio del capitolo in cui si afferma che per i lavoratori addetti al servizio oggetto di cambio di gestione alla data del 7 marzo 2015 ed in forza sullo stesso al momento del suddetto cambio di gestione, troverà applicazione il regime di tutele previgente al Dlgs 23/2015 (Jobs Act).

Niente Jobs Act, dunque, per chi era stato assunto prima della legge di Renzi, ma ricordiamo che rimane comunque così in vigore la legge Fornero (L. 92/2012), che già aveva pesantemente limitato il diritto alla reintegra del famoso art.18 ai soli licenziamenti “discriminatori” per motivi religiosi, inclinazioni sessuali, colore della pelle, ecc.

Per chi nel frattempo fosse stato assunto con il Jobs Act, quindi dopo il 7 marzo 2015, non cambia nulla e rimane lavoratore di serie B.

Ci si ritroverà in una stessa cooperativa ad avere:

 

A) Lavoratori con applicazione Legge Fornero (L.92/2012)

B) Lavoratori con applicazione Contratto a Tutele Crescenti (Dlgs. 23/2015 cd. Jobs Act)

Va infine ricordato che, se lo stralcio del Jobs Act è una concessione possibile (in determinate condizioni) nei cambi di gestione è perché l'art.18 dello Statuto dei Lavoratori non ha mai trovato effettiva applicazione nella cooperazione sociale, essendo possibile mandare a casa la gente semplicemente recedendo dal rapporto sociale tra il lavoratore (socio) e la cooperativa.

 

 

3- ESERCIZIO DEL DIRITTO DI SCIOPERO

In questo paragrafo ravvisiamo lo sforzo di una definizione più precisa di quali debbano intendersi i servizi essenziali da garantire. Per quanto riguarda le strutture H24 va rilevato però che l’articolazione dello sciopero sulle prestazioni da garantire configura appunto più uno sciopero delle attività socio-educative-assistenziali che del personale addetto.

In ogni caso tutte le indicazioni sono sommariamente quelle già contenute nella L.146/90: costruire una struttura di riferimento per l’esercizio del diritto di sciopero, su di un contratto territoriale, offre il viatico alla vulgata nazionale che vuole imporre paletti più rigidi al diritto di sciopero, rendendola un’arma spuntata.

Va ricordato, inoltre, che sul territorio nazionale già l’Anffas ONLUS, che vive di un proprio CCNL firmato insieme a cgil-cisl-uil, con parere favorevole della Commissione di Garanzia per l’attuazione del diritto di sciopero, è riuscita ad ottenere che i suoi Centri Diurni per disabili ricadessero nelle more dei servizi essenziali; strutture, queste, che erogano un servizio assolutamente non essenziale, impongono di fatto il contingentamento dei lavoratori.

Di fronte ad un tema così delicato e ad uno strumento così importante come quello dello sciopero, bisognerebbe preoccuparsi di allargare le agibilità, piuttosto che, con la presunzione di agire da legislatore, definirne il campo di applicazione.

 

4- MENSILIZZAZIONE E BANCA ORE

L’articolazione di questo specifico paragrafo parte dall’assunto che, siccome il comparto educativo-assistenziale e di inserimento lavorativo è caratterizzato da elevata variabilità della domanda di intervento assistenziale ed educativo, negli anni si sono sviluppate prassi aziendali diversificate relative alla programmazione degli interventi ed alla retribuzione degli stessi.

Noi diciamo che, se tali prassi diversificate hanno potuto proliferare, è stata per noncuranza quando non vera e propria complicità dei sindacati con le prassi vessatorie delle imprese cooperative nei confronti dei propri dipendenti.

L’obiettivo dichiarato è quello di arrivare ad una omogeneizzazione sul territorio prendendo a riferimento la mensilizzazione della retribuzione, ovvero il meccanismo per il quale la cooperativa paga di default lo stipendio per le ore da contratto, salvo poi conguagliare (in positivo o in negativo) le ore effettivamente lavorate.

Bene, si direbbe. Del resto nella disciplina del lavoro questa sarebbe la condizione normale. Vale riportare qui gli orientamenti di giurisprudenza in materia:

“Se il lavoratore offre regolarmente la propria prestazione, ma il datore di lavoro non è in grado di utilizzarla, il mancato pagamento della retribuzione è giustificato solo quando non è imputabile a fatto del datore di lavoro, non è prevedibile ed evitabile e non è riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale oppure a contingenti difficoltà di mercato (Cass. 22 ottobre 1999 n. 11916).”

E ancora:

“Il datore di lavoro è invece obbligato al pagamento della retribuzione se l’impossibilità rientra nel rischio d’impresa, in quanto riguarda problemi organizzativi o gestionali che non integrano un’ipotesi di assoluta impossibilità (Cass. 13 marzo 1997 n.2232). Questi principi non possono essere derogati né dalla contrattazione collettiva né dalle parti e, pertanto, sono nulle le clausole dei contratti collettivi che in caso di semplice interruzione del lavoro esonerano il datore di lavoro dal pagare la retribuzione (Cass. 3 ottobre 1991 n. 10298).”

Cosa fanno invece cgil-cisl-uil con l’integrativo? “Accordandosi” per il rientro nella legalità con le cooperative del territorio in materia di retribuzione, concedono però la propria disponibilità a ritoccare, qualora se ne ravveda il bisogno, gli orari contrattuali dei lavoratori. Il testo dell’integrativo recita infatti: “Eventuali esigenze di rimodulazione dell’orario contrattuale di lavoro saranno oggetto, su richiesta di una delle parti, di uno specifico confronto aziendale. […] La rimodulazione dell’orario settimanale potrà avvenire anche mediante variazione temporanea dell’orario contrattuale.”

Quindi i sindacati e le cooperative si potranno accordare sulle esigenze di rimodulazione dell’orario contrattuale; rimane però da capire su quali contratti, quelli dei sindacalisti o quelli dei datori di lavoro? O più banalmente su quelli dei lavoratori? Su quelli iscritti al sindacato o anche su quelli non iscritti?

Fatto gravissimo è la certificazione della “variazione temporanea dell’orario contrattuale di lavoro”, che da anni combattiamo come prassi scorretta perché imposta dall’alto e che precarizza il rapporto di lavoro, impattando sia sul salario che sui contributi. Ne sanno qualcosa le migliaia di educatori dell’integrazione scolastica, che ad ogni inizio di anno scolastico si ritrovano come al mercato delle vacche a contrattare interventi per ricoprire il proprio monte ore contrattuale.

La parte successiva dell’accordo integrativo, che prova a normare il cosiddetto istituto della Banca Ore, è un frutto diretto del capitolo precedente; la nostra esperienza ci insegna che difficilmente i lavoratori accumulano passivi di ore importanti per propria negligenza. Il più delle volte si è di fronte all’offerta della prestazione lavorativa non utilizzata dal datore di lavoro, per cause legate alla variabilità degli appalti o richieste della committenza che in tendenza vorrebbe pagare le sole ore effettive di prestazione, per cui il lavoratori si ritrova, pur avendo firmato un dato contratto orario, a non riuscire a saturarlo. Ebbene, secondo questo capitolo il datore di lavoro dovrà presentare un piano di recupero al lavoratore, impegnandosi “fattivamente al recupero delle ore retribuite e non lavorate”.

Si determina così la formula del ricatto per cui, in determinate condizioni, se non si vuole subire il taglio del salario dovuto al recupero delle ore negative, bisogna di buon grado accettare la riduzione del contratto (rimodulata come sopra “dalle parti”).

 

 

L’esigibilità del rispetto dei diritti e del contratto, dunque, grazie all’ultimo ritrovato di cgil-cisl-uil in collaborazione con legacoop-confcooperative-agci, è materia che appartiene sempre di più alle cooperative, e per nulla ai lavoratori: se a causa del lavoro usurante non riusciamo più a lavorare le soluzioni per noi sono quelle di passare, da lavoratori svantaggiati, alla cooperazione di tipo B. Se abbiamo la sfiga che i servizi nei quali siamo impiegati e per i quali magari lavoriamo da vent’anni cambiano gestione, ci si applica comunque la Legge Fornero.

Se vogliamo esercitare il diritto di sciopero dobbiamo essere ben determinati a fare lo slalom tra servizi minimi essenziali, precettazioni e cartelle sanitarie degli utenti.

Se vogliamo lo stipendio, dobbiamo essere disponibili a farci ridurre i contratti a fisarmonica a seconda delle “esigenze di servizio”; se va male dobbiamo pagare direttamente di tasca nostra quando i datori di lavoro non saranno in grado di farci svolgere le nostre ore di lavoro.

Il tutto in un contratto integrativo che non mette un solo euro nelle tasche dei lavoratori, che non si pone il minimo obbiettivo di aggiornare le tariffe per i rimborsi chilometrici, i soggiorni, i buoni pasto, e lascia inalterato il concetto di paghetta che è rappresentato dall’ERT, un elemento retributivo che per lo più, dato il sistema di calcolo per la sua corresponsione, rimane in tasca alle cooperative.

L’unico modo per recuperare qualche soldo, per le lavoratrici ed i lavoratori delle cooperative sociali del nostro territorio, sarà di togliere le deleghe sindacali a quei venditori di fumo che sono cgilcisluil.

 

 

Bologna, 20 marzo 2018

USB Lavoro Privato Bologna