Gli educatori, i docenti, e tutto il personale impegnato da anni nelle istituzioni educative statali sono, ancora una volta, dimenticati dalle politiche governative.
Le politiche del pallottoliere hanno deciso di chiudere, sin dalla legge finanziaria 2008, tutti quei convitti, istituti educativi che hanno garantito il diritto allo studio a fasce di utenza ed aree geografiche disagiate: un problema anche pedagogico che ritorna, specie dopo i tagli dei pubblici servizi sociali e di trasporto locale degli ultimi anni.
Queste decisioni avrebbero voluto creare un sistema di istituti d'élite, difficilmente realizzabile perché lontano dal sentire di chi ci lavora, ma soprattutto lontano dai problemi dell'istruzione pubblica italiana: vecchi e nuovi.
Dunque, non sono bastati, allo scopo, i successivi tagli della finanziaria “dei nove minuti e mezzo”, cristallizzata nel DPR 81/09, con cui il personale educativo dei convitti ha subito il taglio degli organici peggiore della sua esistenza (circa il 40% dei lavoratori). Occorreva un'ulteriore mazzata: a la legge 111, la famigerata spending review che ha tagliato in tutti i livelli la spesa pubblica, ma che nei convitti ha significato il non riconoscimento delle iscrizioni per l'adeguamento all'organico di fatto, cosa che ha definitivamente messo in crisi questo piccolo settore del sistema della pubblica istruzione.
Già da due anni, gli organici bloccati provocano, al suono della prima campanella problemi di gestione non indifferenti, mancando la possibilità di organizzare i servizi necessari in sicurezza e rispondenza agli assunti del Piano dell'offerta Formativa, in questo realizzando anche un punto di criticità nei confronti organi collegiali.
In molti istituti, poi, la “creatività” dei dirigenti scolastici ci restituisce un campo pieno di immondizie, ai limiti della legalità: si passa dagli organici divisi per genere, per passare a metodi autoritari – peraltro rafforzati dalle leggi padronali sulla dirigenza pubblica, volute da Patroni Griffi e Brunetta -, per finire con velleità di chiamata diretta suggellata da vari bandi di concorso con cui, con la scusa della personalità giuridica, cercano di sostituire il lavoro disponibile dalle graduatorie pubbliche, fatto grave che costituisce un attacco allo status pubblico del lavoro nelle scuole, oltre che concepire un pericoloso precedente e che fa intravedere pezzi di privatizzazione surrettizia a tutto danno dei diritti del personale educativo e di tutti i lavoratori.
E la recente approvazione in Consiglio dei Ministri del DL istruzione non fa sperare molto: si aprono le scuole ai privati, affinché rimedino ai guasti dei tagli che hanno minato l'esperienza del tempo pieno in questo rinviando alla sussidiarietà una funzione costituzionale come la rimozione degli ostacoli sulla strada dell'uguaglianza, quando il contesto è ancora dominato da concetti di soprannumero e precariato fermi ad una visione ragionieristica, senza riguardi per i reali problemi delle persone.
Occorre sostenere, come il personale educativo dice da anni, l'avvio di un vasto programma pubblico di investimenti e di pianificazione del sistema educativo e d'istruzione pubblica, in cui i convitti avrebbero una loro funzione specifica (ma non peculiare), insieme ad un nuovo processo legislativo che riscriva la vita scolastica e i rapporti umani e di lavoro nelle istituzioni educative in una società democratica, partendo dall'abolizione dei fascisti regi decreti del 1923 e 1925 che, in un un'ottica organicistica, hanno bloccato la vita degli organi collegiali nei convitti nazionali.
E' indispensabile pure un decreto attuativo dell’art. 4/ter della legge 333/01 che specifichi il portato innovativo della graduatoria unica e sbarri definitivamente la strada ai salti all'indietro compiuti dai dirigenti scolastici e rappresentati da applicazioni discriminatorie e sessiste della norma.
Per dimostrare che cambiare è possibile e doveroso, USB invita tutto il personale educativo, docente ed ATA dei convitti nazionali ed annessi ad astenersi dal lavoro nella giornata del 18 ottobre in occasione dello sciopero generale e partecipare alla manifestazione nazionale a ROMA.