Il ministro dell'economia Saccomanni ci informa che “Per l'Italia la recessione è finita”, che “nel secondo trimestre il prodotto interno lordo (PIL) è diminuito molto meno del previsto” e che infine “Siamo ad un punto di svolta del ciclo economico...”
Tre affermazioni che per un ministro dell'economia di un paese che si trova nell'occhio del ciclone della crisi sono certamente impegnative e a nostro avviso gravissime.
E' gravissimo ed anche un po' grottesco affermare che visto che tra aprile e giugno 2013 il PIL è diminuito meno del previsto, ciò indichi la fine della recessione: da 8 trimestri il prodotto interno lordo è in diminuzione e continua ad esserlo e non è certo sufficiente una leggera inversione di tendenza ad indicare una previsione così certa come quella fatta dal ministro.
E' gravissimo affermare che la recessione è finita quando, anche a prescindere dal PIL, il paese vive una condizione di crisi occupazionale e produttiva enorme e che tale riduzione complessiva sta redistribuendo ricchezza dalle tasche ormai semivuote di molti a quelle ancora piene di pochi.
Ma soprattutto è grave l'affermazione del Ministro secondo la quale si è “ad un punto di svolta del ciclo economico”.
I libri di economia ci dicono che il “ciclo economico” è in sintesi l'alternanza di fasi caratterizzate da espansioni e contrazioni dell'attività economica di un Paese.
Ma la crisi che si sta vivendo da anni non è certo riconducibile ad un ciclo economico classico come sembra affermare il maggior responsabile economico del governo italiano. Ormai economisti di svariate origini e scuole, convengono sul fatto che quella attuale non è una crisi ciclica ma una “crisi sistemica”, cioè che coinvolge l'intero sistema capitalistico, comprese banche e meccanismi di produzione.
Non si esce quindi da questa crisi attraverso una modifica marginale dei meccanismi e degli strumenti che sono alla base stessa della crisi, ma modificando strutturalmente il sistema economico attuale.
Noi pensiamo che di questo sia ben convinto anche il Ministro Saccomanni ma che, per sostenere un governo anomalo che sta producendo ed amplificando gli stessi danni del precedente governo Monti, si stia nascondendo la verità agli italiani e soprattutto a coloro che più di altri stanno pagando questa crisi e l'enorme disparità sociale esistente da decenni in questo paese.
Per smontare questo castello di carta che ha il solo fine di perpetrare le attuali politiche e di arrivare senza troppi scossoni alle prossime elezioni, è però sufficiente fare una domanda al Ministro dell'Economia: dove si troveranno i quasi 50 miliardi di euro l'anno del Fiscal Compact per ridurre il debito che dovremo “risparmiare” per i prossimi 20 anni?
Altro che manovre e manovrine! Qui si tratta di drenare ogni anno 50 miliardi dalle tasche degli italiani in una situazione di decrescita e di crisi produttiva ed occupazionale.
Ci aspettiamo quindi privatizzazioni pesantissime ogni anno, riduzione ulteriore della spesa sociale e altri blocchi di salari e pensioni, favoriti da una disoccupazione che riduce il potere contrattuale del lavoro e quindi abbatte diritti e peggiora le condizioni di lavoro.
A tutto questo è possibile e doveroso reagire indicando un'alternativa credibile che è ormai diventata patrimonio di molti: il non pagamento del debito, la nazionalizzazione di industrie in crisi e strategiche, una redistribuzione della ricchezza del paese, la creazione di lavoro vero attraverso la lotta all'evasione e soprattutto l'impegno diretto dello stato nell'economia, soprattutto in settori trainati e caratteristici del nostro paese.
E' quindi indispensabile reagire e far sentire la nostra voce, a cominciare dal percorso che ci porterà allo SCIOPERO GENERALE del 18 OTTOBRE prossimo e alle mobilitazioni che si accompagneranno a quella giornata di lotta.
Dobbiamo costruire una alternativa al pensiero unico che attraversa il paese, le sue forze politiche, le istituzioni, le aziende e il mezzi di informazione.
Non basta più un dissenso generico: dobbiamo organizzare e sistematizzare il dissenso sindacale e sociale in questo paese. Cominciamo a farlo dallo sciopero generale del 18 ottobre!