Un’amministrazione in pieno caos organizzativo, com’è ora l’Agenzia delle Entrate dopo la sentenza costituzionale che ha reso illegittimi gli incarichi dirigenziali, dovrebbe preoccuparsi di mettere in sicurezza i lavoratori dando indicazioni chiare su come funziona la "catena decisionale" in attesa di definire un nuovo assetto organizzativo.
Tutti sanno che in questo momento negli uffici regnano il caos e l’incertezza e ogni giorno che passa la situazione peggiora, aumenta la confusione e crescono i rischi connessi a una funzione, quella del Fisco, già socialmente rischiosa, per tante ragioni.
USB ha da molto tempo avviato una riflessione sulla questione dei carichi di lavoro e delle responsabilità professionali, evidenziando come già prima del terremoto provocato dalla sentenza, i lavoratori erano sempre più esposti a rischi personali di natura patrimoniale e penale che non potevano trovare una risposta nella stipula di polizze assicurative a proprio carico.
Oggi quei rischi sono, se possibile, ancora maggiori e più urgente è diventata la necessità di tutela, sia attraverso la diffusione di indicazioni operative chiare e univoche a livello nazionale sia individuando forme di tutela preventive che mettano al riparo da denunce, avvisi di garanzia e accuse che sempre più spesso vengono rivolte con rabbia a chi si limita a svolgere seriamente il proprio lavoro e ad applicare le leggi della nostra giungla fiscale. Leggi spesso contorte e talvolta anche ingiuste ma che vanno cambiate in Parlamento e non negli uffici e possono essere applicate in modo elastico solo se è la stessa Agenzia - e non i singoli lavoratori - ad assumersene la responsabilità a livello nazionale. Non è possibile lasciare ad ogni Direzione regionale la libertà di definire prassi operative che poi non trovino una uniformità in un’amministrazione che ha (ancora) carattere nazionale.
Invece l’Agenzia, fingendo di ignorare quello che le succede intorno, si presenta con un codice di condotta che ancora una volta si preoccupa solo di imporre divieti, vincoli, incompatibilità e perfino stili di condotta che mettono il bavaglio ai più elementari diritti costituzionali come la libertà di pensiero, di parola, di opinione.
Abbiamo respinto al mittente questa proposta, denunciandone gli aspetti più gravemente incostituzionali, tanto per restare in tema con quello che sembra diventato un vizio dell’Agenzia e abbiamo chiesto con forza di aprire un confronto a livello nazionale per adottare un codice di sicurezza per i lavoratori, che definisca una volta per tutte alcune questioni fondamentali: chi è il responsabile del procedimento, come estendere su tutto il territorio nazionale le indicazioni operative per l’applicazione delle norme fiscali, come tutelare i lavoratori che restano invischiati, loro malgrado e nello svolgimento corretto delle loro funzioni, in pesanti vicende legali che sono sempre più all’ordine del giorno.
Da qui bisogna partire se si vuole poi affrontare con credibilità anche il tema di come ci si comporta nei luoghi di lavoro. Tema peraltro già disciplinato dal contratto nazionale e da svariate norme mai abrogate.
L’impressione è che si voglia continuare a raccontare al Paese che i lavoratori sono una massa di farabutti e sfaccendati e che un giorno si e uno no abbiano bisogno di codici di condotta, di whistleblowing, di divieti.
Qualcuno si preoccupi piuttosto di dargli uno scudo che li difenda dai rischi, dalle minacce, dalla impopolarità sociale di un lavoro diventato sempre più pericoloso, sempre meno gratificante.
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