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bancari

Fondo Pensioni Sanpaolo: un disastro ingiustificabile

Nazionale,

In allegato il volantino

La nostra organizzazione ha sempre criticato le scelte politiche e sindacali  che hanno portato al decollo della previdenza complementare in Italia: un'occasione di business per la finanza privata, un modo per tagliare le pensioni pubbliche, una opzione che permette a pochi strati privilegiati di erodere la base fiscale imponibile, una soluzione che non risolve in alcun modo la situazione dei gruppi sociali più deboli, colpiti dalla crisi e destinati a pensioni da fame.


I fondi pensione sono stati avviati nel 1993 sotto Amato, incentivati nel 2000 sotto D’Alema, rilanciati nel 2005 sotto Berlusconi, accelerati nel 2006 sotto Prodi. Tutti quelli al potere sono favorevoli: Confindustria, Governi, Cgil-Cisl-Uil hanno investito molto per convincere i lavoratori della bontà del prodotto, creando persino meccanismi automatici di silenzio-assenso per prendersi il TFR e metterlo nei Fondi, raccontando frottole palesi e vergognose sui maggiori rendimenti attesi.


Sono bastati due anni per fare giustizia di queste barzellette. In tempi non sospetti, la nostra Confederazione, la Cub, aveva apertamente boicottato la partenza dei Fondi Pensione, invitando i lavoratori a tenersi il TFR e sostenendo la necessità di investire tutte le risorse disponibili nella difesa e nel rilancio della previdenza pubblica, separando previdenza e assistenza, costruendo un sistema giusto, solidale, sostenibile nel lungo periodo.


Altri sindacati hanno fatto scelte diverse, per fare piacere allo Stato, ai padroni, alle lobby bancarie e assicurative, ma anche per entrare nella gestione dei Fondi e garantirsi posti di potere: le conseguenze le pagheranno tutti i lavoratori. L’andamento disastroso di quest'ultimo biennio lo dimostra bene: la crisi finanziaria ha fatto evaporare, a livello mondiale, 40.000 miliardi di euro, tra crollo delle borse, fallimenti di banche, tracollo delle obbligazioni e squagliamento dei derivati.


Anche i soldi dei lavoratori sono finiti in questo tritacarne e nessuno è in grado di capire bene cosa stia accadendo: la più grave crisi finanziaria del dopoguerra finisce per bruciare non solo i posti di lavoro, i redditi, i risparmi, ma anche le pensioni integrative. Un gigantesco falò delle vanità, una immane distruzione di risorse che avrebbero potuto essere impiegate in modo molto più assennato per sostenere un sistema pubblico di garanzie di cui oggi tutti chiedono il ritorno.


Quanto abbiamo detto ci tocca molto da vicino: basta guardare le prestazioni del Fondo Pensioni Gruppo Sanpaolo per il 2008, rese note da pochi giorni e disponibili sul sito aziendale dedicato. Le cifre parlano da sole: la totalità dei comparti ha chiuso con risultati scadenti, alcuni con risultati disastrosi, tutti abbondantemente sotto il benchmark di riferimento. Nessun volantino esaltante è stato diffuso, in questa occasione, dai sindacati che gestiscono il Fondo insieme all’Azienda. Noi crediamo valga la pena pubblicare i rendimenti dei diversi comparti e il loro confronto, impietoso, con i vari benchmark di riferimento, una misura precisa di quanto hanno sbagliato:

 
COMPARTO    RENDIMENTO    PERFORMANCE BENCHMARK    DELTA       
Difensivo         0,27%               5,08%                                   -4,81%
Prudenziale    -9,3%               -5,17%                                   -4,13%
Equilibrato     -15.6%            -12%                                        -3,62%       
Aggressivo     -22,5%           -20,3%                                      -2,19%       
Etico               -9,08%             -8,38%                                    -0,70%       
Garantito         1,20%              4,10%                                    -2,90%       
Monetario        1,13%              4,1%                                      -2,97%


Di fronte a questa Caporetto è superfluo ogni commento. Ci chiediamo come sia possibile presentare risultati simili, soprattutto per quei comparti, come il Garantito,  che sono istituzionalmente votati a replicare il rendimento del TFR (vicino al 4%), o come il Monetario, che dovrebbe essere gestito in modo quasi banale. Il Fondo si avvale invece di modelli di investimento sofisticati (forse troppo!) e di una società di consulenza tattica e strategica, pagata non poco per ottenere risultati impresentabili.


Abbiamo sottolineato queste criticità in modo sistematico e in tutti i modi possibili: lo dimostrano  i documenti, allegati ai Bilanci,  presentati dai nostri Delegati nell’Assemblea del Fondo (l’unica sede a cui possiamo accedere, con il voto dei lavoratori, sfruttando un regolamento elettorale più giusto di quello, superblindato, in vigore per il Consiglio di Amministrazione).


Il tracollo finanziario sembra aver spazzato via anche quei deboli segnali di apertura che il Fondo aveva intrapreso verso una maggiore trasparenza gestionale e amministrativa: da tempo non compare la newsletter trimestrale che aveva preso avvio due anni fa. Non è giunta risposta neanche alla richiesta scritta, formulata da ben 9 delegati dell’Assemblea, in merito al reinvestimento parziale del ricavato della vendita degli immobili (circa 165 milioni di euro, di cui 48 reinvestiti in un fondo immobiliare italiano, nel primo semestre 2008), una vicenda che lascia tuttora perplessi: abbiamo rinunciato ad una forma di investimento stabile e remunerativa in cambio di cosa?


La trascuratezza, l’incompetenza, l’opacità della gestione e in particolare il comportamento delle organizzazioni sindacali che gestiscono il Fondo insieme all’azienda non finiscono di stupire: un fatto ancora più grave dopo l’immatura scomparsa di Paolo Ivaldi, uno dei pochi dirigenti sindacali e Amministratori del Fondo competente e disponibile al confronto con chi la pensava diversamente.



Riporteremo queste riflessioni e quelle che lavoratori e iscritti vorranno farci pervenire alla prossima Assemblea dei Delegati di approvazione del Bilancio, nei prossimi mesi. Non esiteremo ad esprimere anche con il voto, come abbiamo fatto in passato,  il nostro disappunto per una gestione così approssimativa delle risorse previdenziali accumulate, con i contributi dei lavoratori e dell’azienda.


Sarà anche vero che il Sanpaolo non esiste più, in quanto tale, e che esiste una forte pressione per livellare tutto sul modello Intesa: chi difende la specificità, la storia, la tradizione e il patrimonio aziendale deve però dimostrare di farlo nell’interesse dei lavoratori e degli iscritti. Non ci sembra che il 2008 si inscriva in questa cornice: né sul piano previdenziale, né su quello contrattuale.

 

6 marzo 2009

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo