Corriere della Sera 12/01/09
di Pierluigi Panza
Vendesi casa vicino alla tangenziale, all'aeroporto, alla stazione di servizio, all'outlet, all'incubatore tecnologico: saranno così i prossimi cartelli degli immobiliaristi perché è intorno a questi nodi dello scambio e del transito che si stanno sviluppando le «nuove urbanità» del Belpaese. È quanto emerge dal rapporto annuale 2008 L'Italia delle città. Tra malessere e trasfigurazione curato per conto della Società Geografica Italiana, presieduta da Franco Salvatori, da una équipe di ricercatori guidati da Giuseppe Dematteis.
La tesi fondamentale è che siamo di fronte a una nuova Italia, quella dei «superluoghi », ovvero di nuove urbanità create intorno a fiere e centri commerciali che, per ora, non sono in grado di creare nuove socialità e integrarsi con le città storiche. Il meccanismo di sviluppo territoriale che viene delineato dal Rapporto è questo: una campagna sempre più urbanizzata, anche a partire dai paesi ex agricoli, e nuove urbanità che si sviluppano, come nel Medioevo, intorno a vie e luoghi di scambio. Il risultato è un tutto urbanizzato. Da un lato, scrivono gli studiosi, «siamo di fronte a una dissociazione tra la città e l'urbanizzazione, dove con il secondo termine non si pensa più solo alla crescita di ciò che intendiamo con il primo, la città, per contiguità fisica; ma anche, e sempre più di frequente, a fenomeni spazialmente discontinui che investono reticoli urbani decentrati e contesti locali esterni alle principali direttrici di crescita del Paese». Dall'altro ci sono gli insorgenti superluoghi, «università, fiere, aeroporti, centri logistici, parchi tecnologici, incubatori aziendali, centri ospedalieri, laboratori di ricerca e piattaforme commerciali che nascono come agenti funzionali autonomi e diventano portatori, a volte intenzionali, di territorialità connotando i paesaggi delle nostre regioni urbane». Favoriti, in questo, dal marketing urbano e da forme di federalismo.
Naturalmente non è solo l'Italia a presentare queste situazioni: esempi storici sono il sud-est inglese, la Randstadt Holland, la parte centrale del Belgio, la regione settentrionale della Svizzera, la grande Dublino... Ma da noi l'idea di «superluogo » si declina, oltre che intorno agli snodi funzionali descritti, anche come «cittadella degli immigrati». Qui, più che di fronte a un multiculturalismo urbano, ci troviamo di fronte allo sviluppo di un policulturalismo, ovvero di urbanità etnicamente caratterizzate che nascono per esigenze commerciali o funzionali. Come a Milano, dove i cinesi sono intorno a via Paolo Sarpi e i maghrebini nelle case a ringhiera della zona della Stazione centrale. Milano, con l'esempio della Fiera e della prossima Expo a Rho, e con i nuovi insediamenti intorno all'autostrada dei Fiori (ma anche Bologna con il suo Piano strutturale diviso in «Città della ferrovia», «Città del Reno», «Città della tangenziale»...) è anche l'esempio di superluoghi nati da funzioni di scambio.
Di fronte a questo scenario ci sono forti elementi di critica. Qualcuno ha parlato di «urban sprawl» ovvero di un fenomeno di estesa crescita territoriale incontrollata e disordinata. Di recente, in Italia, un gruppo di studiosi come Maria Cristina Gibelli ed Edoardo Salzano hanno pubblicato uno studio dal titolo in forma di logo, No sprawl. Nell'introduzione sottolineano che, «sebbene la devastazione provocata dal consumo del suolo nel nostro Paese sia sotto gli occhi di tutti... non esiste nessun dato ufficiale o ufficioso della sua reale consistenza». Anche dal Fai (Fondo per l'ambiente italiano) sono spesso giunte critiche a questo sviluppo incontrollato sul territorio (ex) agricolo.
Uno sguardo critico su questa forma di modernità territoriale è anche quello del sociologo Aldo Bonomi, che curò anni fa alla Triennale di Milano un'esposizione intitolata La città infinita. «Sono d'accordo che si superi la definizione di "non-luoghi" data da Marc Augé in favore di "superluoghi", perché queste aggregazioni funzionali danno effettivamente vita a nuove urbanità, anche se queste non riescono a essere comprese dagli strumenti dell'urbanistica novecentesca. Il problema è che in questi luoghi si creano solo imprecise socialità di transito e che non c'è un dibattito per capire come integrare queste urbanità con i "vecchi" paesi e città. Per fortuna devo dire che alcune di queste vecchie città italiane trovano da sole degli antidoti a un futuro di soli superluoghi: ad esempio credo che i festival della letteratura siano l'esatto contrario di un pomeriggio all'outlet lungo l'autostrada».
Bonomi indica anche una via per arrivare a una nuova definizione di questi spazi che sono le cittadelle del futuro. «Questi superluoghi ci avvicinano a un'idea medievale di urbanità perché nascono intorno ai luoghi dello scambio e del transito delle merci. Sono le nuove città anseatiche, fatte di fondaci per lo scambio. Ciò ha anche un aspetto positivo: ci consente di superare lo spaesamento da megalopoli che stanno provando molti abitanti asiatici (nel 2010 il 51,3% degli abitanti della Terra vivrà in luoghi urbani, ndr). Solo che non abbiamo ancora risolto i problemi del rapporto tra superluoghi e centri storici e nemmeno la loro governance. In sostanza, oggi Bergamo — conclude Bonomi — ha un'aeroporto da una parte, un ipermercato dall'altra e una stupenda città alta, vecchia e un po' veneziana che non dialogano e non sviluppano alcuna forma di intersocialità ».