Quattrocento euro al mese, cinquecento, qualche volta mille. Spesso in nero. Quando va bene con ritenuta d’acconto. Raramente con fattura. O con il fantomatico tempo indeterminato di renziana memoria. Ieri con i voucher. Domani, chissà, con il lavoro a chiamata. Quelli più esperti riescono a portare a casa anche un contrattino striminzito che pare il primo passo (e forse l’unico) verso una legittima aspettativa di stabilità che, quasi sempre, viene elusa o delusa. Spesso si tratta di gruzzoletti che con la dignità del lavoro hanno poco a che spartire. È il web: la mirabolante frontiera della nuova ricchezza che le multinazionali dei social network e i guru di internet ci hanno ammannito in questi anni come la panacea di tutti i mali dell’economia e della comunicazione.
A lavorarci sono per lo più ventenni e trentenni. Costruiscono e gestiscono la visibilità di aziende ed enti, di studi professionali e agenzie creative. Con post, blog, tweet, foto, video generano “like”, traffico e contatti di utenti verso i siti o i social media dei clienti. Ma alla fine chi paga il prezzo più alto per creare questa ricchezza che avvantaggia i soliti noti? Proprio loro, i lavoratori di questo settore: web content editor, social media editor, media specialist, e via anglicizzando.
Tanta gavetta, ingegno a gogò, spesso si appioppano l’appellativo di social media manager che ammanta di stile “upper class” l’identità di una professione importante, ma tutto sommato non ancora del tutto sdoganata, nell’immaginario collettivo, dall’angusto soprannome di “smanettoni” informatici. Davanti a loro hanno spesso orizzonti di sfruttamento e far west contrattuali.
USB mass media vuole difendere anche i diritti di questi lavoratori, spesso donne – e talvolta giovani mamme che si adattano a lavorare anche da casa (ma questo sarebbe il male minore) –, finché va tutto bene, finché non ci sono contrattempi e la salute è di ferro. Ma al primo guaio, ti saluto e avanti il prossimo! Tanto, dicono sempre più spesso le imprese del settore, qualcun altro si trova sempre. Anche all’estero. Internet ha reso liquidi questi “rapporti di lavoro”. Oggi basta comprare un “gig” on line, ovvero un lavoretto dietro compenso di pochi euro o dollari, e le stesse cose le fa un ragazzino, magari in India, Pakistan, Bangladesh, oppure in qualche paese arabo o nordafricano. Talenti ce ne sono ovunque. Il web non ha confini e non lascia trasparire l’età. E nemmeno lo sfruttamento del lavoro. Che sia in Italia o all’estero. È internet, bellezza! L’ultima frontiera delle battaglie per i diritti dei lavoratori. USB mass media c’è. Come sempre in prima linea, al fianco anche di questi operatori della comunicazione.