Capita… Succede di trovarsi in un ufficio pubblico e, di fronte a quella che ci sembra essere l’indolenza e magari il menefreghismo di un impiegato, di cominciare a sbuffare e dar ragione al tizio che tutto adirato comincia ad inveire contro l’impiegato allo sportello rendendolo responsabile della perdita del nostro “prezioso” tempo. Succede.. perché è comodo comportarci così, anziché pensare che forse l’impiegato quel giorno non è al top delle sue energie, o magari perchè i carichi di lavoro sono stati distribuiti in modo cervellotico e sbagliato dal suo dirigente, o che perfino la sua indolenza possa essere causata da stress per il troppo lavoro perché la pianta organica di quell’ufficio è sottodimensionata rispetto al lavoro che vi è da svolgere.
Agiamo in questo modo per non pensare; perché il pensare presuppone uno sforzo e, quindi, trasferiamo la nostra pigrizia mentale addossandola sull’impiegato che ci sta di fronte.
E lo stesso ragionamento lo facciamo anche trovandoci in un ufficio postale dimenticando che le poste da tempo oramai sono diventate SpA ossia soggetti che ricadono nel privato e i risultati si vedono per l’utenza: uffici che chiudono nei piccoli centri, la posta che viene distribuita a giorni alterni “per risparmiare personale”, gli uffici postali ridotti a mercatini dove si cerca di smerciare di tutto, ecc..
Agiamo così perché anni di demagogia contro tutto ciò che è pubblico e di esaltazione per il privato hanno finito per condizionare le nostre menti.
La campagna contro i “fannulloni” non può non aver provocato effetti. E le nostre menti obnubilate dal fumo dei lacrimogeni sparatici addosso mediaticamente da ministri della repubblica, loro sì veramente incapaci e fannulloni, non sono più capaci di discernere il vero dal falso. Le varie manovre tese a risparmiare sugli stipendi come il blocco dei contratti, e del turn-over, ammantate da sacro ardore da cacciatore all’untore non ci hanno fatto vedere che questi risparmi servivano per essere investiti in opere inutili e dannose come la TAV o per l’acquisto di aerei cacciabombardieri o per tenere in vita quel mostro mangiasoldi che si chiama Società dello Stretto, o ancora per lasciare inalterati i privilegi di una certa ”casta, tutto questo è stato assorbito dalle nostre menti come verità, quel tipo di “verità” alla Goebels: “una bugia ripetuta che ripetuta all’infinito che diventa verità.
Ed allora se questo è il clima, salutiamo con piacere questo rapporto dell’EURISPES (non dell’USB)! che cerca di ristabilire alcune verità e serve a sfatare tanti luoghi comuni.
IL DIPENDENTE PUBBLICO COME PRESIDIO DI DEMOCRAZIA
Il contesto. Da troppo tempo, in Italia, intorno alla Pubblica amministrazione gravitano stereotipi, luoghi comuni,approssimazioni, e pericolose generalizzazioni. Mentre, si riflette troppo poco sul valore e sul ruolo sociale che il dipendente pubblico ricopre ogni giorno grazie allo svolgimento del suo prezioso lavoro. Tra i principali elementi che dominano e mistificano il dibattito pubblico in materia, si registra soprattutto – ma non solo – un alto livello di generalizzazione. Eppure, con i provvedimenti contenuti nella legge n.135 del 2012, in riferimento alla revisione della spesa pubblica, meglio nota come Spending review, si rischia ancora una volta di adottare misure lineari che, se possono contenere aspetti utili al risanamento dei conti pubblici, potrebbero risultare poco realistiche e inadatte a riformare la complessa articolazione della macchina pubblica, a renderla più efficiente per i cittadini e le imprese.
I numeri. Dagli ultimi dati messi a disposizione dalla Ragioneria Generale dello Stato, risulta che nel 2011, in Italia, i dipendenti pubblici sono 3.282.999, con una netta prevalenza di donne (1.806.407), sugli uomini (1.476.592). Di questi, è importante ricordare che la Scuola, il Servizio Sanitario Nazionale e le Regioni da sole occupano oltre 2 milioni e 474mila unità, oltre due terzi del totale.
Nelle singole regioni. Valori elevati soprattutto al Nord dove si concentrano oltre 1 milione 350mila dipendenti statali, seguito dal Sud (1 milione 149mila) e dal Centro (740mila). La Lombardia, con 406.429 unità, si conferma quella con il più alto numero di dipendenti pubblici, seguita dal Lazio, con 401.059, e dalla Campania, con 296.751. Sommando insieme le tre regioni, si scopre che con 1.104.329 addetti, esse occupano nel settore pubblico oltre il 34% del totale. Al contrario, la Valle d’Aosta e il Molise sono i territori dove lavora il minor numero di dipendenti pubblici (non superano le 20mila unità). In realtà, calcolando il numero dei dipendenti pubblici nei singoli territori, ogni mille abitanti le cose mutano profondamente e si scopre che i dipendenti pubblici sono quasi 42 in Lombardia, 46,5 in Veneto e 50,5 in Piemonte e, tra le regioni che, al contrario, mostrano una maggiore incidenza, troviamo il Lazio, con 72,9 dipendenti pubblici ogni 1.000 abitanti, e le Province autonome di Trento e di Bolzano, segno forse che non sempre l’autonomia può essere considerata sinonimo di maggiore efficienza.
I tagli. Anche a seguito dei vincoli di bilancio e delle misure di risanamento dei conti pubblici introdotte per rispondere alla crisi economica, si assiste a un calo significativo del numero dei dipendenti pubblici; si passa dai 3.533mila dipendenti del 2001, ai 3.282mila del 2011, una significativa diminuzione di oltre 250mila addetti (-7,1%).
L’età media del dipendente pubblico. Le politiche adottate negli ultimi 15 anni dai governi che si sono alternati, oltre a restringere in maniera significativa il ruolo e il perimetro dello Stato, hanno prodotto un innalzamento significativo sotto il profilo anagrafico. L’età media del personale in servizio è passata da 46,5 anni nel 2005, a 47,6 anni nel 2011. Negli ultimi 10 anni l’età media dei dipendenti pubblici è aumentata di oltre 4 anni; infatti, nel 2001 era pari a 44 anni. In anni in cui si parla molto di informatizzazione e digitalizzazione della Pubblica amministrazione come modello di efficienza, l’invecchiamento progressivo del personale della macchina pubblica non sembra rispondere alle sfide in atto.
Nei singoli comparti. Si registra un innalzamento dell’età media rilevante soprattutto nella Carriera prefettizia (53,1 anni), e tra il personale impiegato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri che mostra un’età media molto alta (51,5 anni). Ma quello che dovrebbe far riflettere maggiormente è una tendenza analoga riscontrata nei settori relativi all’offerta didattica e culturale del Paese; nella Scuola, nell’Università e nell’A.F.A.M, infatti, si registra un’età media rispettivamente di 49,5, 50 e 50,6, anni. Al contrario, il personale preposto alla sicurezza e all’ordine pubblico, è quello in assoluto più “giovane”: tra le Forze Armate (35,9 anni), nei Corpi di Polizia (41,5 anni) e nei Vigili del Fuoco (43,9 anni). Dati che risentono in maniera significativa, dell’ingresso delle donne nei diversi Corpi d’armata.
Gli anni d’anzianità. Nei prossimi anni continueremo ad assistere ad un graduale innalzamento dell’anzianità di servizio dei dipendenti pubblici; nel 2011 era pari a 17,2 anni, una media tra i 18,3 anni registrati tra gli uomini e i 16,3 anni tra le donne. Mentre per le donne l’anzianità di servizio negli ultimi 5 anni è rimasta sostanzialmente stabile, per gli uomini è inizialmente salita, per poi mantenersi stabile negli ultimi tre anni.
L’anzianità nei singoli comparti. La Carriera prefettizia (23,7 anni), i Ministeri (21,8 anni), e gli Enti pubblici non economici (21,5 anni), sono i comparti pubblici in cui l’anzianità di servizio è più alta; mentre, nella Scuola e nelle Autorità indipendenti, entrambe con 14,6 anni, e nelle Forze armate, con 15,3 anni, l’anzianità diminuisce sensibilmente.
Tipologie contrattuali. Altro elemento che nell’ultimo decennio ha contribuito ad una ulteriore segmentazione del lavoro pubblico è stato anche l’ingresso del lavoro flessibile nelle singole Amministrazioni. Rispetto ai dati del 2005, aumentano in modo significativo i contratti a tempo indeterminato (dall’87,6% al 96,7% nel 2011), mentre calano lievemente i lavoratori atipici che dall’1,1% nel 2005, scendono allo 0,8% nel 2011. Al contrario, il calo più significativo è avvenuto tra i contratti a tempo determinato: erano l’11,3% nel 2005, sono il 2,5% nel 2011, segno che la crisi economica e i tagli avvenuti in questi anni hanno colpito soprattutto i lavoratori meno garantiti e tutelati.
Conclusioni. La politica dei tagli lineari adottata perfino dal Governo Monti, composto da ministri tecnici, oltre ad essere dannosa, poiché non tiene conto dell’eterogeneità di un contesto tanto differenziato, potrebbe essere anche velleitaria; sarebbe opportuno, infatti, un approccio che vada in profondità e che, proprio perseguendo il principio della segmentazione e riconoscendo le singole specificità, parta dalla misurazione della produttività delle singole strutture, prima che dei singoli lavoratori. Tra tutti gli aspetti che contiene la Spending review, quello più ingiusto è sicuramente la sua natura indiscriminata; così, anziché valorizzare il merito si sceglie di umiliarlo. Infatti, operando tagli lineari e indifferenziati, si colpiscono anche strutture utili, produttive ed efficienti, danneggiando il sistema nel suo insieme.
Fonte Rapporto Italia 2013 dell'Eurispes