Il lavoro non è un diritto, ma un traguardo da conquistare, anche a costo di sacrifici.
Questo il concetto recentemente illustrato dall’algida ministra Fornero, che ha suscitato vivaci proteste e diffuse reazioni indignate.
Perché cosí dicendo, questa signora, che ammonisce i propri ascoltatori con il dito alzato quasi li dovesse ammaestrare, si colloca di fatto al di fuori e contro la Costituzione italiana, che recita: «l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro» (Art. 1); e «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto» (Art. 4).
In seguito, la Nostra ha cercato di metterci una pezza sopra, com'è ormai (mal)costume in questi casi: pare che anche i nostri tecnici, come i loro predecessori politici, prima e anche in seguito, siano soliti incorrere nella disavventura di essere “fraintesi”.
Delle due l’una: o chi parla non si spiega chiaramente, o chi ascolta capisce perfettamente, ma non concorda con il contenuto della comunicazione.
E siccome a chi governa non piace ammettere di non godere del consenso dei propri cittadini e si ostina a perseguire l’obiettivo di convincerli, con le buone o con le cattive, della bontà delle misure proposte, si preferisce glissare addossando al deficit comunicativo il supposto fraintendimento.
Ora tutto si può rinfacciare alla signora Fornero, ma non la mancanza di chiarezza: non ci sono sottintesi, orpelli, imbellettature nelle sue parole - dice pane al pane senza tanti complimenti.
Questo per lei non è, probabilmente, un vantaggio, dato che la comprensione delle sue esternazioni è immediata e, di solito, piuttosto accesa.
Ma sul versante opposto, quello di chi rivendica il mantenimento dei diritti acquisiti e protesta perché vengano rispettati, è indubbiamente un elemento a favore che fa tabula rasa di furbizie interpretative.
Va comunque sottolineato che il ministro di un governo che si ispira al pensiero liberale si pone in netto contrasto sia con tale pensiero, sia con una Costituzione che, a sua volta, a quel pensiero liberale sostanzialmente si ispira.
La giunta del “golpe bianco” (senza stato d’assedio e carri armati), condotto da Napolitano e sostenuto da Monti e dai componenti della giunta da loro nominati, conducono il loro sporco lavoro con il supporto dei partiti che necessariamente vanno definiti per quello che sono: collaborazionisti, compresa l’opposizione vociferante di Idv e Lega.
Ma c'è anche il supporto della fintissima opposizione di agenzie partitico-statuali dette sindacati confederali come dei media, servili e ruffiani lacchè.
La giunta golpista dunque porta avanti il suo lavoro antipopolare, distruggendo i residui delle modestissime tutele raggiunte con anni, decenni, secoli di lotte e battaglie dai lavoratori e classi subalterne.
Come tutte le giunte golpiste, lo fanno per il “bene del paese”, per "l’interesse comune", per assolvere “necessità inderogabili”, per la “salvezza nazionale”, per la “crescita” che non solo è ovviamente negata dalla spremitura della popolazione in atto, ma non è altro che l’imperativo dell’accumulazione del capitale e dell’assorbimento di surplus sociale da parte dello Stato.
Questa organizzazione governativa agisce a supporto delle classi statualmente, economicamente e socialmente dominanti all’interno del paese, ma anche di un “sistema” ormai insostenibile di imperativi esteri che si perpetuano nel comando e nella manipolazione per trarne tutti i benefici, e non certo per garantire il benessere e la democrazia alle popolazioni.
C.Branzi - M.Monforte