L’importante crescita delle attività finanziarie, nazionali e internazionali, che ha accompagnato il processo di mondializzazione a partire dai primi anni Settanta, accelerato negli anni Ottanta del secolo scorso, lungi dall’essere una novità è una caratteristica strutturale del sistema capitalistico dalle sue origini. Così lo scrissero, a suo tempo, autori critici come Marx, Lenin o Hilferding e così lo affermano recentemente responsabili di istituzioni e organismi finanziari in tutto il mondo. Nella fase attuale si assiste a una mondializzazione dei mercati, causa ed effetto dell’aumento di competitività e di produttività del sistema economico nel suo complesso e dei singoli operatori economici più in particolare. La cosiddetta globalizzazione neoliberista si manifesta in specifiche rappresentazioni dei diversi modelli capitalistici, ma si caratterizza in ogni ambito come inasprimento dello sfruttamento e compressione dei diritti, nell’unico modo di essere del modo di produzione capitalistico. Ciò avviene attraverso la divisione internazionale del lavoro e un attacco senza precedenti al costo del lavoro, al salario diretto, indiretto e differito (disoccupazione strutturale, precarietà, tagli enormi dello Stato sociale, sviluppo del Profit State, fondi pensione e privatizzazioni, delocalizzazioni, esternalizzazioni, ecc.). In materia di relazioni economiche internazionali gli studiosi marxisti hanno avuto poco da aggiungere a quanto Marx aveva analizzato e previsto; solo alcune indicazioni al passo con lo sviluppo internazionale del capitale, e un’analisi fondamentale dell’epoca dell’imperialismo da parte di Lenin, seguito da Baran e Sweezy. Altri elementi attuali da considerare sono la teoria degli scambi mercantili e finanziari internazionali e quella delle aree monetarie su scala mondiale, che, comunque riferite contestualmente al loro tempo, erano già presenti nelle opere dei classici. Anche quindi a livello di sistema-paese, o meglio di aree-poli, oltre che nel sistema-imprese, si configura una fase della competizione globale. È in tal senso che va interpretata l’azione dell’Unione Europea, la quale, priva di una autonoma capacità politica, impone ai paesi deficitari le stesse regole dei piani di aggiustamento strutturale che Il Fondo Monetario Internazionale ha applicato in tutti gli ultimi trent’anni per fare «strozzinaggio» sui paesi dell’America Latina e condizionarne le modalità di sviluppo. Ci troviamo nel bel mezzo di una crisi sistemica senza un programma di socializzazione di massa dell’attività produttiva. Per portare a termine l’ampio programma di privatizzazioni dei beni pubblici, si pone il debito pubblico al centro delle politiche. L’Unione Europea sta per retrocedere di ottant’anni in materia di politica economica; sta cercando di instaurare una politica di equilibri contabili che, come insegna l’esperienza storica del XX secolo o dell’America Latina degli anni Ottanta, sposta il peso dell’aggiustamento e dello squilibrio sui lavoratori e quindi sui salari per condizionarne le modalità di sviluppo. Ecco perché ci troviamo nel bel mezzo di una crisi sistemica senza una prospettiva emancipatrice per l’umanità.
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