Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto la nota della RSU della DSEAT che vi alleghiamo e condividiamo politicamente.
Nel documento la RSU denuncia in modo forte e chiaro che l'accordo relativo al fondo di sede (quota 20% FRD) non è frutto del maggior consenso possibile ma dell'avvallo di una unica organizzazione sindacale (CISL).
La RSU ha voluto rivendicare un ruolo reale e più ampio di quello di mera misura della rappresentatività sindacale delle organizzazioni nelle cui liste sono tenuti a presentarsi i lavoratori per essere eletti. Ha rivendicato un peso al tavolo contrattuale che le è stato negato con la firma di una e unica organizzazione sindacale. Tale O.S. non tenendo in alcun conto la posizione della RSU si è resa disponibile a far uscire dall'impasse l'Amministrazione. Infatti, senza l'intervento della CISL, la RSU, in modo compatto ed unitario, dopo molti giorni di lotta, assemblee sul posto di lavoro e serrate trattative stava conducendo una partita dura il cui risultato non era per nulla scontato.
I lavoratori avevano consegnato alla RSU un forte mandato assembleare, chiedendo una ferma opposizione alla proposta dell’Amministrazione che aveva presentato un accordo “fotocopia” dell'accordo Nazionale, accordo nel quale il peso della famosa assiduità partecipativa pesata secondo la circolare del DAG 2019 (che ha introdotto nuovi criteri di valutazione di alcune assenze, prima considerate presenze a tutti gli effetti) ha fortemente inciso sulle retribuzioni di lavoratori appartenenti alle categorie più fragili.
Una circolare che utilizzando la parola “franchigia” cinicamente, come spesso siamo abituati a parlare in termini di polizze assicurative, dà un valore proprio di danno alle assenze. USB da sempre è stata critica e si è battuta perché non vengano penalizzati economicamente coloro che hanno passato periodi già particolarmente problematici.
Tale accordo sebbene zoppicante perché il maggior consenso possibile sia veramente irrisorio è stato registrato dagli Organi di controllo (poiché per le normative contrattuali attuali è innegabile che ci sia un consenso anche se sia dato da quella striminzita firma).
USB non ha potuto partecipare a quei tavoli di contrattazione perché in quel momento ancora non firmataria del CCNL Funzioni Centrali di cui resta fermo il nostro giudizio negativo. In realtà il problema è anche più ampio di ciò che sembri a prima vista. Esonda infatti dalle mura della sede di contrattazione del misero Fondo di sede e si espande nel Paese a tutto il mondo del lavoro.
Il conflitto sociale non può essere tollerato. A questo servono le firme dei cosiddetti normalizzatori. È urgente riprendere il confronto tra la cultura giuridica democratica e le pratiche dell’organizzazione e del conflitto sindacale, per riaffermare i principi contenuti nella nostra carta costituzionale e per bloccare una deriva repressiva e autoritaria che punta a soffocare tutte le espressioni di tutela sociale. Costituzione che, al contrario della legislazione e dei comportamenti istituzionali che si stanno affermando (aiutati da quei sindacati asserviti ai poteri forti), proclama la prevalenza dei diritti del lavoro sugli interessi dell’impresa e sul potere del mercato e assicura la propria protezione al diritto di sciopero e alla libertà sindacale.
In questo sistema da sempre, proprio grazie ai normalizzatori, si può continuare a svendere i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, il loro salario e la loro dignità. Il risultato finale è la perdita di diritti già esistenti a partire da quelli di tutela universale alla salute.
USB PI MEF