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Lazio

INCENDIO SICURO

Roma,

INCENDIO SICURO

Relazione sull' incendio dell' aeroporto di Fiumicino

a cura dott.ssa Antonietta Gatti

 

Il terminal 3 dell’aeroporto di Fiumicino è andato in fumo nella notte del 7 Maggio e finalmente il 29 Maggio abbiamo avuto il responso dell’Istituto superiore di sanità.

I lavoratori di Fiumicino hanno ripreso il lavoro l’8 Maggio e da allora si domandano se sia sicuro per loro lavorare otto ore al giorno in un ambiente che è stato interessato da un incendio, soprattutto di quella posta. La risposta è: NI.

Nel momento in cui l’incendio è stato spento azienda l’Azienda Aeroporti di Roma ha chiesto ad un suo esperto, l’HSI Consulting (http://www.hsiconsulting.it/), azienda che svolge attività altamente specialistiche nei settori della prevenzione primaria e secondaria nei luoghi di lavoro e dell’ambiente, di verificare il rischio insito nel soggiornare in quegli ambienti.

La valutazione deve essere stata rassicurante, cioè, tradotto, deve essere stato riferito che non c’era nessun rischio di esposizione ad agenti chimici e a polveri e non c’era di che preoccuparsi più di tanto. Questo visto che i lavoratori sono stati chiamati all’opera dopo appena un giorno dall’incidente. Qui ci troviamo di fronte a qualcosa di curioso, stante il fatto che, per esempio, le analisi per misurare il contenuto di diossine nell’ambiente richiedono qualche giorno. Quindi si deve dedurre che è stato dato un via libera alla circolazione nell’area quando le analisi non erano ancora state completate, dando per scontato che la HSI Consulting abbia le apparecchiature e il personale abilitato per quella ricerca.

Il via libera alla rioccupazione di spazi “sporchi” ha riguardato anche la società di pulizie che poco prima della riapertura ha liberato fisicamente gli spazi dalla cenere, lavato pareti e pavimenti. Le imprese di pulizie sono esterne e, detto con tutta la prudenza del caso e parlando in termini generali, si servono non di rado di personale extracomunitario che non sempre gode di particolari riguardi e che potrebbe non rientrare poi nel computo delle persone che si sono sentite male dopo essere state presenti nell’area. Sì, perché, dopo 20 giorni, ci sono ancora persone tra lavoratori e passeggeri che necessitano di attenzioni mediche dato che stanno male dopo aver sostato nell’area: vomito, mal di testa, ecc.

L’ASL ha già fatto un computo di 200 persone che sono state trasportate in ospedale ma mancano ancora le liste di due ospedali della zona, quelle più vicine a Fiumicino.

Il rapporto dell’Istituto superiore di sanità è molto bello, fatto molto bene dal punto di vista politico.

Chi ha firmato il testo (dott.ssa Musmeci), iI Direttore del Dipartimento Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria, ha raccolto le analisi di un monitoraggio fatto dall’ARPA relativo ai giorni 12, 13, 14 e 15 e ne ha desunto alcune conclusioni. Cioè, la dottoressa non è andata direttamente sul luogo dell’incidente, ma si è limitata a verificare a tavolino se i valori monitorati superassero o no i limiti di legge. Insomma, un intervento puramente burocratico. Non ci sono dubbi: con la sua vasta esperienza di incendi nei grandi ambienti complessi come gli aeroporti l’analisi di un possibile rischio si può fare a tavolino. Non ci si chiede neanche dove l’ARPA abbia piazzato i sensori delle polveri e delle diossine rispetto all’origine dell’incendio, se sia entrata nella zona con tute idonee e con maschere per le polveri o addirittura con bombole d’ossigeno per prevenire contatti un po’ troppo ravvicinati con polveri, diossine e altri inquinanti che non possono non esserci stati e, con molte probabilità, non possono non esserci ancora. Un addetto ai lavori non può non chiedersi, poi, come mai si sia pensato di eseguire i rilievi giorni dopo che si era lasciato accesso al terminal, riprendendone in parte l’operatività.

L’Istituto superiore di sanità ha verificato che valori delle PM10 nei quattro giorni di monitoraggio (dal 12 al 15 Maggio) hanno superato in tre campioni il limite giornaliero in acuto di 50 microg/Nm3 (previsto nel DLgs 155/2010 per I'aria ambiente e valido in base a Air Quality Guidelines e Indoor Air Quality Guidelines dell'OMS anche per ambienti di vita indoor).

Ma, insomma, c’è stata esposizione? Quindi, in sostanza, c’è stato pericolo?

Strano che non si sia notato che, in una tendenza decrescente di concentrazione d’inquinanti, il giorno 15 Maggio le polveri disperse nell’aria siano aumentate anziché diminuire. Che cosa è successo quel giorno per avere un aumento, per di più consistente, delle polveri? Da 30,68 microg/Nm3 del giorno 12 le polveri sono passate a 66,36 il giorno 15 nel Varco Auriemma e da 64,15 a 95,42 nel Gate C Terminal 1. Comunque lo si voglia guardare, anche burocraticamente siamo fuori norma.

Ovviamente non si sono controllate le polveri di diametro aerodinamico più piccolo come le PM1 o, meno che mai, le PM0,1. Per quelle, di gran lunga più penetranti e, di conseguenza, più capaci di generare problemi sanitari, non c’è normativa. E, allora, non si perde tempo a cercarle perché per quelle ci si può tranquillamente ammalare restando nella norma della legge.

L’incendio ha sicuramente bruciato materiali plastici definiti ignifughi, cioè materiali ufficialmente non infiammabili o, quanto meno, che offrono una ragguardevole resistenza o, al minimo, ritardano il fenomeno di prendere fuoco. E’ ovvio, però, che, comunque sia, l’elevata temperatura attacca il materiale liberando polveri, vapori e gas. I materiali ignifughi contengono sicuramente sostanze come il cloruro di ammonio, il solfato di ammonio, fosfati, bromo, antimonio e borati. Plastiche contenenti cloro come il PVC, e le guaine che ricoprono i fili elettrici sono spesso fatte di quel materiale, rilasciano sicuramente la diossina che si liberò a Seveso, un prodotto chimico estremamente tossico già in quantità di millimiliardesimi di grammo e cancerogeno certo. È ovvio che in un incendio con tanti materiali diversi (metalli, plastiche, ceramiche, compositi) si creano polveri con una chimica spesso insolita, non di rado tanto insolita da non esistere in alcun libro che tratti di materiali, la cui tossicità o, di converso, la cui biocompatibilità è ignota.

Sulla base della legge 81 si apprende che “ Nel caso di attività lavorative che comportano l'esposizione a più agenti chimici pericolosi, i rischi sono valutati in base al rischio che comporta la combinazione di tutti i suddetti agenti chimici”. Come abbia fatto l’HSI Consulting, in un tempo così breve, a valutare questo rischio è argomento che merita spiegazione. Giusto per precisare le cose, anche la tossicologia più classica afferma che i veleni, e gli inquinanti sono veleni a tutti gli effetti, esercitano reciprocamente un effetto sinergico. In poche parole, semplificando, un veleno di tossicità 1 unito ad un veleno di tossicità 2 dà spesso una tossicità che non è 1 + 2 = 3 ma un valore più elevato. Spesso non poco più elevato. Quando i veleni sono non solo numerosissimi ma in parte non determinati come è accaduto per le polveri che si sono formate, mi è impossibile non chiedermi come si sia potuto fare quella somma difficilissima da ottenere, per di più in un battibaleno.

 

Al riguardo l’Istituto superiore di sanità nota che “Le concentrazioni rilevate di PCDD e PCDF (espresse in WH01998-TE) evidenziano una variabilità con un intervallo di valori di 1212 -4611 fg WHO-TE/m3, valori superiori rispettivamente di 10 e 40 volte rispetto a quelli che si rispetto a quelli che si riscontrano usualmente nelle aree urbane.” E continua: “Allo stato attuale in Italia, non si hanno ancora limiti o linee guida nazionali relativi ai valori di PCDD/F, PCB, DL-PCB e IPA in aria indoor..”

 

Viene aggiunto anche, però, che “ la Germania con il Bericht des Länderausschusses für Immissionsschutz (LAI), ha proposto un valore obiettivo di 150 pg WH098-TE/m3, su lungo periodo (media annuale).” Al di là del significato tecnico dei valori e delle sigle che poco interesseranno chi non è un addetto ai lavori, che cosa significa tutto ciò?

 

Vero è che le varie burocrazie sono strane, e lo sono ancor di più quando entrano in ambiti che hanno a che fare con la biologia e con la salute. Per esempio, un uomo di 80 kg tollera 160 picogrammi (millimiliardesimi di grammi) di diossina “di Seveso” al giorno se è europeo e appena 0,48 se è statunitense. Questo per le leggi di qua e di là dell’Oceano Atlantico. Per completezza, aggiungo che il limite tollerabile è in realtà pari a zero, piaccia o no, interessi o no, a chi legifera.

 

L’Istituto superiore di sanità conclude che “nell'attesa di acquisire ulteriori risultanze analitiche, si suggerisce nel frattempo di adottare, in via precauzionale, tutte Ie misure di protezione per la salute pubblica, secondo quanto previsto dalla legislazione vigente, con particolare riferimento ai lavoratori esposti secondo la L 81/2008”.

 

Ci si sarebbe aspettato che l’Istituto desse indicazioni non da burocrati ma pratiche ai lavoratori che da 20 giorni respirano quell’aria fungendo loro da filtri e, certo involontariamente, bonificando con i loro polmoni l’aria, visto che se la respirano per qualche ora al giorno e se la portano a casa con abiti e capelli.

 

Magari non tutti i lavoratori andranno a consultare i regolamenti cui l’Istituto superiore di sanità fa riferimento. Magari non tutti li sapranno correttamente interpretare. Magari vorrebbero piuttosto sapere che tipo di maschera filtrante adottare, che tipo di tuta, quante ore di lavoro sono sicure o realmente tollerabili, come smaltire la tuta, che precauzioni prendere, ecc. Ma soprattutto potrebbero voler sapere se sono state valutate dall’ASL quelle evidenze cliniche (ricoveri per malori) e che significato hanno e avranno a lungo termine.

 

Comunque, visto che anche l’Istituto superiore di sanità esprime perplessità sull’area, mi permetto di consigliare una bonifica che non risollevi le polveri ma eseguita con macchine per la filtrazione di polveri con filtri elettrostatici e l’utilizzo di aspirapolvere ad acqua. È il minimo, ma, almeno, è qualcosa di pratico.