È dal 2004 che i ricercatori, medici e non, dell’Istituto nazionale dei tumori di MIlano chiedono di essere reintegrati come dipendenti a tutti gli effetti. Da quell’anno infatti, quando l’Istituto è stato trasformato in Fondazione, i loro stipendi non sono più nel bilancio dell’Istituto e quindi dalla Regione Lombardia (con un risparmio di 4 milioni di euro), ma
dipendono alle risorse ricavate dalle donazioni del 5xmille in favore dell’Istituto e dai diversi progetti in corso. Vuol dire che se dovessero finire le donazioni e i progetti, questi lavoratori resterebbero senza il becco di un quattrino. Una situazione insostenibile. L’Rsu dell’ospedale e i sindacati presenti in Istituto chiedono da sempre che si definisca l’organico dei ricercatori e che tutto ritorni come prima. In subordine che almeno i circa 140 ricercatori non medici entrino negli organici del Servizio sanitario nazionale. Ma questi sono stati sempre anni di vaghe promesse. L’allora ministro della Sanità Fazio aveva addirittura istituto una commissione ad hoc per affrontare il problema. Nel 2013 l’Istituto aveva chiesto alla Regione Lombardia di coprire i costi. L’assessore regionale alla salute Mantovani aveva dato l’ok. Ma ha vinto la dura opposizione del direttore generale regionale Bergamaschi che afferma che la ricerca è già finanziata dal ministero della Salute e dalla Regione attraverso l’incremento dei drg (prestazioni effettuate sui pazienti). E veniamo all’oggi. Il 12 marzo scorso l’Rsu ha indetto lo stato di agitazione. Il 31 c’è stato l’incontro in Prefettura senza nessun esito. O meglio, ancora parole senza la volontà precisa di affrontare la questione. Con la variante della Cgil che, senza consultare nessuna componente sindacale interna all’Istituto, ha dichiarato il congelamento dello stato di agitazione. Congelamento che è stato denunciato e respinto dalla Rsu. Lo stato di agitazione quindi continua più deciso che mai: l’obiettivo si allarga ed è di far assumere i circa 400 precari che lavorano all’interno dell’ospedale.