Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera di Catia, una precaria coop del Lazio, l'ennesima storia di ordinaria precarietà ultradecennale. Non ci sentiamo di aggiungere molto ai contenuti della lettera a parte la solidarietà ed il pieno sostegno morale e sindacale alla lavoratrice, all'ennesima lavoratrice Coop che smaschera l'ambiguità di un'Azienda immacolata e impeccabile nella sua immagine pubblica ma altrettanto arrogante ed impietosa con i propri dipendenti.
C’era una volta tanto tanto tempo fa, una fanciulla di 26 anni che consegnò felice un curriculum vitae ad una prestigiosissima azienda, baluardo nel suo campo di valori profondi come: onestà, correttezza, rettitudine morale verso i dipendenti e fonte certa di assunzioni per meritocrazia. La fanciulla fu chiamata a colloquio (e già da li avrebbe dovuto capire tante cose, ma questa è un’altra storia) e venne inserita nel personale a tempo determinato. La fanciulla fu assunta nel reparto generi vari, venne chiamata più e più volte a lavorare, le vennero insegnati diversi mestieri e così lei, convinta che mostrando la massima disponibilità e lavorando sodo “arrivasse il premio” sospirato, aspettava speranzosa di apporre il proprio nome in fondo ad un contratto a tempo indeterminato. Aspetta aspetta, passarono 12 anni. Dodici lunghi anni durante i quali la donzella fu sballottata da un reparto all’altro, svolgendo mansioni che di certo non le competevano, fu mandata a lavorare in altre sedi e durante il cammino fu testimone speranzosa di assunzioni di altre persone, tutte o quasi con minore anzianità lavorativa, e non di certo con più qualifiche di lei!!! Ma lei non si perdeva di coraggio!!! Pensava: ”Arriverà il mio momento, come è arrivato per tutti”. E intanto mandava giù bocconi amari su bocconi amari, dagli orari più assurdi alle domeniche intere passate a lavorare; dalle ferie mai fatte con i propri figli, al sentirsi dire: “Sei una stagionale, devi abbozzare” (ah! Che voglia di abbozzare gli occhi al genio che aveva proferito questa salomonica asserzione…). Fino all’ ultimo meraviglioso contratto a ben 50 km da casa, full time, grazie al quale ha dovuto trascurare i tre figli, tanto da doverli portare da una psicoterapeuta infantile. In realtà questa azienda ha raggiunto l’apoteosi della correttezza proprio in quel negozio dove lei era stata mandata con la promessa della mèta tanto agognata. Là, la fanciulla, ha avuto prova che AMARE il proprio lavoro, IMPEGNARSI a svolgerlo al meglio, senza riserve , MERITARE lo stipendio che si riceve a fine mese, nulla può contro chi ha avuto il lavoro per altri motivi, contro chi, ottuso, si fa forte del potere che ha acquistato senza meritarlo. Così dopo 12 lunghi mesi, durante i quali gliene hanno fatte passare di cotte e di crude (taglio delle ore ovvero inizio contratto in flessibilità negativa per circa 65 ore in seguito recuperate in due mesi; settimane con prevalenza di turni pomeridiani; spezzati a go go… ) arrivando a dirle: ” se hai figli e non sai dove metterli non è un problema dell’azienda ” (anche se in realtà non era stata una sua scelta andare a 50 km da casa) dunque, dicevo, dopo 12 lunghi mesi, finito il contratto, è stata premiata con un “arrivederci non ci servi più……” motivazione? L’Azienda è in difficoltà. Magari se si fossero fatte più assunzioni per meritocrazia, quell’azienda ora sarebbe un’isola felice… ma questo è un mio pensiero. Morale della favola: mentre Biancaneve dopo mille casini, se ne va con il suo principe su un cavallo bianco, idem dicasi per Cenerentola e La Bella addormentata nel bosco, la Bella addormentata alla Coop (che nel frattempo, suo malgrado, s’è dovuta svegliare…), se ne va con le borse dei camici a casa, dopo aver creduto per 12 anni nell’avverarsi e nel lieto fine di un sogno chiamato CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO… Una favola senza lieto fine, purtroppo, comune a tante altre che, come me, hanno creduto senza riserve in un’azienda che non le premierà mai. Di chi, come me, ha sempre pensato che con il duro lavoro, l’onestà e la rettitudine morale riuscisse ad ottenere qualcosa che le spettasse di diritto: UN DIRITTO CHIAMATO LAVORO. Obiettivo sudato, meritato ma mai raggiunto. Semmai dovessi rinascere proverò ad essere Cenerentola, magari tra un ballo e una scarpetta smarrita avrò più fortuna...
Catia