Il più grosso attacco che i lavoratori del pubblico impiego abbiano mai subito fino ad oggi è arrivato con la conversione in legge del decreto legge 31 maggio 2010, n.78 "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica".
Tagli, blocco dei contratti e delle retribuzioni, allungamento degli anni di lavoro, diminuzione degli organici e conseguente aumento dei carichi di lavoro: questi sono gli effetti più immediati per i pubblici dipendenti della finanziaria estiva varata dal governo e che a discesa comporterà, anche a causa dei tagli miliardari ai Comuni e alle Regioni, il peggioramento della qualità di molti servizi, il taglio e la successiva privatizzazione degli stessi.
Vediamo nel dettaglio i provvedimenti più penalizzanti:
1 – Blocco degli stipendi
Il trattamento economico che i dipendenti pubblici potranno percepire in ognuno degli anni 2011/2012/2013 non potrà superare la cifra spettante nel 2010, fatti salvi l’indennità di vacanza contrattuale ed i fatti legati a dinamiche straordinarie della retribuzione.
2 – Blocco dei contratti
E’ annullata la contrattazione collettiva per il triennio 2010/2012. Il fondo per le risorse destinate alla contrattazione decentrata non può superare nei singoli enti, nel triennio 2011/2013, quello del 2010, che deve essere ridotto in caso di diminuzione dei dipendenti e può essere ulteriormente ridotto per restare entro il tetto di spesa per il personale.
3 – Blocco delle assunzioni
Dal 2011 per ogni cinque lavoratori andati in pensione l'ente pubblico potrà assumerne solo uno. Gli enti locali potranno effettuare assunzioni a tempo indeterminato se hanno rispettato il tetto di spesa per il personale e se questa non è superiore al 40% del totale della spesa corrente. Solo se in possesso di tali condizioni si potrà procedere all’assunzione, entro comunque il tetto del 20% della spesa del personale cessato nell'anno precedente.
4 – Tagli di spesa
Dal 2011 le pubbliche amministrazioni devono tagliare di circa il 50% la spesa per la formazione del personale. Salvo gli enti locali, devono tagliare gli oneri destinati alle assunzioni flessibili.
5 – Donne in pensione a 65 anni
Aumenta, con la scusa di adempiere alla richiesta dell'Unione Europea, l'età per il collocamento in quiescenza delle donne dipendenti della Pubblica Amministrazione. Dal 2012 le donne del pubblico impiego potranno andare in pensione di vecchiaia solo dopo i 65 anni d'età anziché gli attuali 60;
6 – Addio ai 40 anni di lavoro...
Addio alla pensione dopo 40 anni di contributi indipendentemente dall'età anagrafica. A causa dell'introduzione della "finestra unica" i lavoratori dipendenti potranno andare in pensione dopo 12 mesi il raggiungimento dei requisiti minimi. In sostanza i lavoratori del pubblico impiego (esclusi i parlamentari) potranno andare in pensione dopo almeno 41 anni di contributi previdenziali;
7 - ... e addio ai 65 anni d’anzianità
dal 1 gennaio 2015 l'età pensionabile sarà legata all'aspettativa di vita media. Ciò significa che maggiore sarà l'aspettativa di vita media in Italia e più tardi si andrà in pensione.
8 – Addio al Tfs
Per i dipendenti pubblici dal 1/1/2011 si passerà dal Trattamento di Fine Servizio (TFS) al meno vantaggioso Trattamento di Fine Rapporto (TFR).
Intanto, gli enti pubblici stanno cominciando a calcolare la riduzione netta di personale che ci sarà nel medio periodo a causa dell’impossibilità di sostituzione dei lavoratori che andranno in pensione. I risultati sono drammatici sia per i lavoratori (che si vedranno aumentare notevolmente i carichi di lavoro) sia per il pubblico che non riceverà più lo stesso servizio né in termini di qualità e velocità dello stesso, né in termini di quantità. A molti servizi non si riuscirà più, infatti, a dar seguito con la conseguente soppressione e/o esternalizzazione-privatizzazione. Procedura questa che ha sempre portato ad un aumento dei prezzi per il consumatore finale, accompagnata spesso a una diminuzione delle tutele per i lavoratori (precari e pagati di meno) e della qualità del servizio.
Una dote per i Fondi Pensione
Ma tra le varie misure della manovra finanziaria non manca invece la distribuzione di una "dote" da 92 milioni l'anno per i fondi pensione che servirà, nelle aspettative del governo, a tentare il rilancio dei fondi di previdenza complementare nel pubblico impiego attraverso il finanziamento delle spese di avvio e adesione collettiva ai fondi.
Fondi, che fino ad oggi si sono rivelati un vero e proprio flop (è dal 1999 che esiste un accordo sindacale per l'applicazione anche al pubblico impiego delle norme di adeguamento del Tfr e l'introduzione della previdenza complementare). Oggi, infatti, su 3 milioni e 600 mila dipendenti statali, nonostante i cinque fondi attivati (Espero, Perseo, Sirio, Laborfonds e Fopadiva), l'unico operativo a livello nazionale è il fondo Espero riservato ai dipendenti della scuola che non conta nemmeno 90 mila aderenti.
Lo scorso 16 giugno, il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, è tornato ad auspicare l'avvio del sistema integrativo per gli statali. "Soprattutto per le generazioni più giovani, per le quali il pensionamento con il metodo di calcolo contributivo puro assicurerà un primo assegno pubblico molto più basso dell'ultimo stipendio".
Così il ministro, invece di preoccuparsi di dare un lavoro stabile ai più giovani, e una dignitosa pensione ai più vecchi che permetta loro di non dover chiedere aiuto ai servizi sociali per arrivare a fine mese, si preoccupa per il mondo della finanza e per la Borsa. Saranno questi ultimi, infatti, gli unici soggetti a trarre reale guadagno dal fiume di soldi freschi dei risparmi dei lavoratori che confluiranno nella roulette borsistica. Una storia già vista nei noti fallimenti di fondi americani che si sono portati via i risparmi di decine di migliaia di lavoratori. Il debito pubblico sale in un anno da 1754 miliardi a 1838 miliardi e aumentano quanti si vogliono tutelare dal rischio di crack.
E che questo governo stia scommettendo sulla pelle dei lavoratori per cercare di sopravvivere ad una crisi mondiale che sta mettendo a nudo tutte le contraddizioni di questo sistema che affama molti per ingrassare una sempre più ristretta minoranza, lo si legge anche dai dati sul debito pubblico, arrivato lo scorso luglio a 1838 miliardi di euro.
Il debito pubblico, lo scorso luglio 2009, era di 1754 miliardi. In mezzo le manovre finanziarie di questo governo, falsamente propagandate come riduttive del debito pubblico e che invece servono soltanto a difendere l’attuale classe dirigente dalla giusta vendetta dei lavoratori che invece continuano a pagare di tasca loro gli errori speculativi dei governanti.
Chi legge numeri, statistiche e, invece di lavorare, fa scommesse sulla crescita o decrescita di qualche titolo, si è accorto che sono sempre di più quelli che cominciano a speculare sul possibile crack del nostro paese. La Depository Trust and Clearing Corporation, la più grande società al mondo in tema di statistiche sui derivati, ha affermato che il rischio di bancarotta dell'Italia vale oltre 26 miliardi di Dollari, più di 20 miliardi di Euro. Il crack di nessun altro paese renderebbe di più alla speculazione. A tanto ammontano, infatti, le polizze vendute dalle Banche a chi si vuole coprire da rischi di fallimento sui titoli del debito pubblico (bot, obbligazioni ecc). Quello che sorprende e preoccupa di più i giornali finanziari è la netta accelerazione dei volumi trattati negli ultimi mesi. Sintetizzando, più obbligazioni ci sono sul mercato, più gli investitori, prevalentemente professionali se non addirittura governativi, si coprono acquistando polizze. Lo scorso anno le polizze contro il rischio default dell’Italia ammontavano a 21 miliardi. Il mese scorso sono diventati 23 miliardi. Una crescita repentina, che dice come gli investitori istituzionali ed esteri si stiano allineando alla realtà di un default sempre più concreto e vicino. Chi tra di noi del resto producendo per cento, si indebiterebbe per 118 come sta facendo lo stato italiano?