La morte di Luana D’Orazio, risucchiata il 3 maggio 2021 da un orditoio manomesso per incrementare la produzione, è rimasta impunita. La Procura di Prato ha accolto la richiesta di patteggiamento dei titolari dell'azienda tessile, Luana Coppini e il marito Daniele Faggi, infliggendo rispettivamente due anni e un anno e sei mesi per omicidio colposo e rimozione dolosa delle cautele antinfortunistiche, con sospensione condizionale della pena. Paradossalmente rischia di più Mario Cusimano, il tecnico che ha disattivato i sistemi di sicurezza e che ha scelto il rito ordinario.
Tutto questo accade perché in Italia non esiste un articolo del Codice penale che preveda l’omicidio sul lavoro. Con il fattivo supporto di USB e Rete Iside, nella scorsa legislatura è stata presentata alla Camera una proposta di legge (“Introduzione del reato di omicidio sul lavoro e lesioni gravi e gravissime alle lavoratrici ed ai lavoratori”), prima firmataria l’onorevole Simona Suriano del gruppo ManifestA. Proposta mai messa nell’agenda dei lavori parlamentari e decaduta con la fine della legislatura.
Con la nostra legge, Coppini e Faggi sarebbero andati incontro a una pena base tra i 5 e i 10 anni (“Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni”), con aumento di pena da 10 a 18 anni per aver modificato i sistemi di protezione delle macchine (chiunque modifica per esigenze produttive i sistemi di protezione delle macchine è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni).
Per questo USB nell’incontro del 4 novembre con Marina Calderone, nuovo ministro del Lavoro, chiederà che il governo faccia sua questa proposta di legge e la porti in Parlamento per una rapida approvazione. Non c’è modo migliore per dimostrare che al centro dell’incontro con le parti sociali saranno proprio la salute e la sicurezza sul lavoro, come affermato dalla ministra. Rete Iside e USB hanno già avanzato la stessa richiesta a tutte le forze politiche.
L’introduzione del reato di omicidio sul lavoro rappresenta in primis uno strumento di deterrenza, cosa che una pena come quella irrogata per la morte di Luana non è. Soprattutto in Italia, dove salute e sicurezza sul lavoro sono viste unicamente come costi, da ridurre per aumentare i profitti. Il reato di omicidio sul lavoro farebbe sì che per i datori di lavoro non sia più conveniente speculare sulla vita dei propri dipendenti.
Dal nostro punto di vista, la questione non riguarda soltanto la pena: ci sembra ipocrita chi oggi sostiene, dopo anni di inazione e concertazione, che l’ingiustizia della sentenza riguardi solamente il patteggiamento, e lo stesso vale per chi si limita a indignarsi per la strage di lavoratori in corso.
Ricordiamo che nel 2022 contiamo, a oggi, 914 morti di lavoro. Di questi 652 sono morti sul posto di lavoro e 258 in itinere: centinaia di vittime che in parte sarebbe stato possibile evitare se fosse stata in vigore la nostra legge. Esattamente come accaduto nel 2016, quando l’introduzione del reato di omicidio stradale ha portato a un calo delle vittime della strada.
Unione Sindacale di Base
Rete Iside Onlus