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Comunicati generali Gli editoriali

MANOVRA 2011: PAGANO SEMPRE I LAVORATORI, I PENSIONATI, I GIOVANI

Nazionale,

La manovra di circa, 65 miliardi di euro, miliardo più o meno ha poca importanza, che il governo ha varato si inserisce in un quadro economico nazionale già disastroso, volutamente celato dal governo, e lo aggrava ulteriormente. Un’inflazione che viaggia ormai a circa il 2,6 % di incremento annuo, un tasso di disoccupazione intorno al 8,3 che tra i giovani (15-24 anni) va oltre il 28%, i consumi sono al palo da ormai troppi anni, la crescita solo annunciata non sembra profilarsi all’orizzonte e il declino economico e politico del nostro paese, sia in rapporto all’Unione Europea che alle politiche interne, continua inesorabilmente. Il crollo delle borse di questi giorni non fanno che peggiorare le condizioni entro le quali si cala il Decreto, quello n. 98 del 6 luglio 2011, che si basa solo sui tagli di spesa e non prevede un euro di investimento nello sviluppo sociale del paese. Il Decreto del resto rinvia al 2013 gli effetti più devastanti sul piano sociale e politico non rassicura gli investitori e il piccolo risparmio. L’instabilità politica, una manovra economica ritenuta inefficace dai “mercati”, hanno favorito il manifestarsi dirompente di grandi operazioni speculative sull’economia nazionale italiana. La speculazione, simile a quella che ha colpito prima la Grecia, l’Irlanda e poi il Portogallo, investe direttamente la stabilità dell’area dell’Euro e coinvolge direttamente l’Unione Europea già impegnata a trovare soluzioni adeguate per evitare il “default” greco. È stato infatti istituito un fondo europeo di 500 miliardi di Euro per sostenere l’economia dei paesi europei in difficoltà e si sta provvedendo a togliere dal mercato finanziario i titoli di Stato greci.
Mentre la finanza è in forte sofferenza e lo sviluppo è ormai un sogno che si allontana sempre più a livello internazionale, in Italia si tenta di rispondere alla crisi della crescita con interventi, come quelli contenuti nel cosiddetto Decreto Sviluppo, che si riducono ad una serie di liberatorie per le imprese, sino ad arrivare alla punibilità per quei dipendenti pubblici (ispettori, accertatori, ecc.), che hanno il compito istituzionale di verificare la “correttezza” delle stesse imprese in merito a sicurezza, contribuzione previdenziale per i lavoratori, corretta posizione fiscale, ecc… La parola d’ordine è non “tormentare le aziende” con controlli e verifiche, di fatto si dice che le imprese possono derogare alla legge e alle norme.
Una manovra quella del 6 luglio 2011, che prevede un innalzamento della tassazione sui titoli (imposta di bollo sui conti titoli), ma non esclude da questo i titoli di Stato, incentivando così da un lato altri tipi di investimenti privati “pericolosi” e penalizzando dall’altro il piccolo risparmio, lasciando che la “speculazione finanziaria” continui impunemente e in maniera incontrollabile così come sta avvenendo in questi giorni. La  borsa crolla anche in presenza di un quadro politico che emerge sempre più corrotto e corruttore e che ricava rendite vantaggiose a carico della collettività facendo pesare la corruzione per oltre 70 miliardi sul PIL nazionale. L’insieme di questi processi avvicinano il nostro paese alle “condizioni estremamente critiche” di altri stati membri dell’Unione Europea (Grecia, Portogallo, Irlanda, ecc.).
Per i lavoratori e i cittadini questo si traduce in un inevitabile peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro. La crisi finanziaria che torna ad esprimere una “tossicità elevata” nell’economia (vicina a quella vista nel 2007), il grido d’allarme istituzionale che ne consegue, stanno ricompattando le posizioni dell’attuale Governo con le opposizioni intorno ad una manovra inaccettabile dal punto di vista della coesione sociale, economica e politica del nostro paese. Con ogni probabilità questa situazione potrebbe esprimere un cambio di governo a fronte di una manovra iniqua che si appresta ad essere convertita in Legge con il placet delle stesse opposizioni.

Il Decreto per la stabilizzazione finanziaria inoltre taglia ulteriormente gli stanziamenti alla sanità, agli enti locali, alla scuola, mettendo sempre più in discussione la possibilità di mantenimento dei servizi minimi essenziali, da quelli dedicati all’ambiente sino alla cura per le persone in condizioni disagiate o malate. Le precedenti norme avevano di fatto già fortemente smantellato i servizi al cittadino, risolvendo con la privatizzazione degli stessi, che sono diventati un costo aggiuntivo per le retribuzioni e non garantiscono la universalità del servizio, rendendolo esclusivo, per chi può pagarselo. Lo smembramento dello Stato Sociale sta per essere concluso. Si avvia ad estinzione il diritto di cittadinanza in Italia e le privatizzazioni delle aziende municipalizzate proposte agli enti locali dal governo, in barba al risultato referendario del giugno scorso, saranno il colpo di grazia allo Stato Sociale.

Come può parlare di crescita un Decreto, che di fronte al blocco dei consumi, alla crescita del dato inflattivo, e della disoccupazione, propone il blocco delle retribuzioni e la drastica riduzione dei servizi pubblici? Una manovra questa che risponde esattamente al contrario di quello che si sarebbe dovuto fare seppur in una logica di mantenimento dell’attuale sistema sociale. Quando pagano i ricchi, i profitti e le rendite?

Contro tutto questo

Chi si contrappone realmente a tutto questo? Non certo l’opposizione politica che come già scritto si limita ad emendamenti e alla richiesta di dimissioni del governo dopo l’approvazione, con il loro consenso o astensione, della manovra economica. Quindi i partiti politici d’opposizione del nostro paese non faranno nulla per invertire il contenuto della correzione economica lasciando che questa pesi interamente sui lavoratori dipendenti pubblici e privati, sui pensionati e sui giovani. A questi ultimi è addirittura negato il futuro sotto ogni punto di vista, si accentua anzi la precarizzazione della vita.

La reazione tiepida, formale, alla manovra da parte della CGIL si ferma alla rappresentazione manifestata con alcuni presidi. Ancora una volta apparentemente distante da CISL e UIL, che si concentrano invece, per recuperare terreno e non precipitare nei consensi tra i lavoratori per l’aperto sostegno dato alla politica economica fallimentare di questo governo, su un’ipotetica, quanto improbabile, riforma del fisco, che viene rinviata ad altra data. Nella sostanza, fuori dalle apparenze, riemerge al momento necessario quell’unità sindacale e politica che continua a danneggiare gli interessi dei lavoratori, i loro diritti, le relazioni industriali e sociali del nostro paese.

Come nel caso dell’accordo sui contratti e la rappresentanza firmato dalla CGIL insieme a cisl e UIL con CONFINDUSTRIA. Accordo che ha sancito la fine di una possibile minoranza interna alla CGIL e ha creato una maggiore frattura con la FIOM. Un accordo interconfederale vergognoso, che prova a mettere il bavaglio ai sindacati indipendenti e conflittuali e toglie il diritto di parola e di voto ai lavoratori. L'accordo, nato sotto la regia interessata di Confindustria, è la premessa per una politica economica di ulteriore ripristino del comando nei luoghi di lavoro a danno dei diritti dei lavoratori, sino alla forte messa in discussione del diritto di sciopero e dell’universalità dei CCNL. Un accordo a tutela del monopolio della rappresentanza di CGIL, CISL e UIL e contro i lavoratori che non potranno esprimere rappresentanti fuori dalle logiche del sindacalismo istituzionale, complice nella gestione di una fase storica di restaurazione autoritaria nella fabbrica come nel sociale. Il timore che la rottura della coesione sociale determini scenari come quelli greci o ancor peggio come quelli del nord Africa da un lato ricompone settori di potere economico e sociali, dall’altro acuisce le differenze e le contraddizioni che risultano sempre più insanabili, determinando le condizioni oggettive di una fase sociale conflittuale senza precedenti.

L’USB ha messo in campo manifestazioni di protesta  nelle piazze delle principali città italiane già all’indomani del varo , da parte del Governo, della manovra, e organizzato una prima giornata di mobilitazione, lotta e sciopero Sciopero Generale dei lavoratori del Pubblico Impiego  di due ore a fine turno per il 15 luglio 2011 e si prepara ad una più forte risposta di tutto il mondo del lavoro già nel primo autunno prossimo.

Sul Pubblico Impiego la manovra ha effetti devastanti da subito:
>    blocco delle retribuzioni individuali e dei contratti fino a tutto il 2014, che sono già fermi dal 2010;
>    per il triennio 2015-2017 viene stanziata la sola indennità di vacanza contrattuale e questo significa che dal 2015 si attendono per i pubblici dipendenti aumenti netti di 50 euro annui, il tutto dopo cinque anni di blocco delle retribuzioni;
>    il decreto proroga blocco delle assunzioni per un altro anno, erano già bloccati sino al 2013; pregiudicando quel ricambio da turn-over che appare sempre più necessario, alla luce della costante riduzione di personale e del conseguente aumento dei carichi di lavoro. Senza nuovi stanziamenti per le assunzioni e con il previsto peggioramento delle regole sulla previdenza,che incentiveranno i pensionamenti, le dotazioni organiche del pubblico impiego sono destinate a contrarsi ulteriormente, compromettendo il funzionamento e l’efficienza dei servizi erogati da ogni pubblica amministrazione (Sanità, Scuola, assistenza sociale e alla persona, previdenza, fiscalità, ecc…);
>    Si allarga ulteriormente il ricorso alla privatizzazione delle prestazioni sanitarie e si istituisce il costo standardizzato per il servizio e la fornitura di materiale sanitario. Questo significa per le regioni la necessità di ridurre prestazioni e posti letto nel tentativo di sostenere il piano di rientro delle spese sanitarie regionali e di adeguare i costi delle prestazioni allo standard individuato dall’Osservatorio;
>    sempre in materia di Sanità si tagliano 7,5 miliardi di Euro e si reintroduce il ticket sulle prestazioni e sui ricoveri in pronto soccorso. La demolizione della Sanità pubblica continua inesorabilmente nonostante la situazione risulta essere già drammatica. Si attua una scelta di politica economica che privilegia il ricorso alla Sanità privata, convenzionata e non, che diventa l’unica alternativa al negato diritto alla salute dei cittadini;
>    si introduce l’allungamento dell’età pensionistica per tutti i lavoratori dipendenti, si stabilizza definitivamente il quoziente della speranza di vita come riferimento per il progressivo incremento del limite d’età pensionabile. I giovani lavoratori andranno in pensione all’incirca a 70 anni, come previsto nell’articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, anticipando le scadenze per la sua applicazione di un anno. Si prevede l’allineamento dell’età pensionabile delle lavoratrici del settore privato ai livelli già previsti per le lavoratrici del settore pubblico e per la generalità dei lavoratori (tutti a 65 anni);
>    la rivalutazione automatica per l’adattamento al costo della vita delle pensioni è bloccato sino al 2013 per gli importi percepiti che superano i 2500 € al mese, un attacco ulteriore ai ceti medi in pensione, che vedranno il loro potere d’acquisto ridursi nel tempo. Per le altre pensioni che sono sotto la soglia dei 2.500 € mensili la rivalutazione è comunque ridotta.

Contro i ladri di Futuro e di Democrazia
il PUBBLICO IMPIEGO Sciopera il 15 luglio 2011 le ultime due ore e
Manifesta sotto il Ministero dell’Economia e delle Finanze dalle ore 12