Scorrendo le immagini della giornata ieri si evidenziano immediatamente due prospettive distanti, impegnate ad affrontare un presente che drammaticamente le fa incontrare e confliggere.
La prima è quella delle centinaia di migliaia di studenti e precari che si sono mobilitati in tutt’Italia, determinati a prendersi le vie delle città e senza paura hanno scelto di arrivare nei luoghi simbolo della crisi: banche, unione europea, palazzi istituzionali.
La seconda si è rappresentata nella violenza repressiva degli apparati dello Stato, che a Roma hanno raggiunto livelli di cieca e immotivata rappresaglia.
Per chi ha percorso insieme a decine di migliaia di giovani le strade di Roma, ha potuto vedere nei loro occhi la soddisfazione di essere in tanti, protagonisti di un momento importante costruito con un lavoro che ha investito le scuole e i territori. Il grande numero di studenti e studentesse di 15 e 16 anni, con tantissime scuole provenienti dalle periferie, ha pervaso i cortei di un’aria nuova dove ad essere rappresentato non era questo o quell’istituto, ma più questo o quel quartiere, zona, territorio, con le forme e i linguaggi che caratterizzano il presente di questi ragazzi e queste ragazze. Non abbiamo visto “schizzinosi” o “bamboccioni” al corteo, ma tanti “pischelli” consapevoli di un presente inadeguato e desiderosi di attraversarlo facendosi notare.
Per negare l’esistenza di questa realtà si è scelto di giocare la carta della repressione. A Lungotevere non c’erano motivi per caricare il corteo, eppure è stato fatto. Non c’erano motivi per accanirsi contro i ragazzi e le ragazze, eppure è stato fatto. Non c’era motivo per inseguire i frammenti di corteo, pestando, intimidendo, identificando e arrestando decine di persone, eppure è stato fatto.
Andavano spaventati ed è stato fatto.
Gli ordini sono stati eseguiti alla perfezione e a nulla è valsa la resistenza dei manifestanti e delle loro scarse difese, scudi e caschi di protezione. La rigidità negli occhi dei funzionari che hanno gestito la piazza, raccontava una decisione presa il giorno prima. Non si può consentire una saldatura sociale tra gli studenti e il disagio generale che vive il paese.
Le piazze di ieri ci hanno raccontato questa composizione sociale che sta sviluppando complicità possibili, che si sta mescolando e rigenerando nel tempo presente. Chi governa questo paese sta percependo che l’aria cambia e che la distanza si fa abissale tra la casta e il mondo reale.
La rabbia che ieri si è espressa con la volontà di non mollare nel tentativo di riprendersi le città, i territori, il presente, c’è chi la vuole contenere ingabbiandola dentro compatibilità senza senso e quando non basta usare il manganello e le manette.
Noi invece dobbiamo alimentare questo battito e metterci in sintonia con esso.
Comprenderne la forza di cambiamento che si porta dietro non ci deve spaventare ma aiutarci a costruire quella forza necessaria a mettere in discussione un modello di sviluppo basato sullo sfruttamento delle risorse e delle vite. Una realtà che non si cambia con armi convenzionali ma che necessita di una rinnovata e solida cassetta degli attrezzi da definire insieme, dentro nuove complicità e verso quella confederalità sociale quanto mai utile in questo momento.
Dobbiamo aprire una discussione collettiva sull'atteggiamento delle forze dell’ordine. La violenza espressa dagli agenti, raccontata chiaramente da centinaia di fotogrammi e video, non solo è ingiustificata, ma conferma una volontà coercitiva tesa a spaventare i ragazzini che affollavano i cortei di ieri.
Ci siamo impegnati nell’intera giornata di ieri per evitare conseguenze peggiori e abbiamo registrato una tensione eccessiva e immotivata nelle forze dell’ordine che ha accompagnato l’intera giornata.
Non crediamo che si possa risolvere la crisi con i manganelli, con le cariche e con la caccia all’uomo. Il disagio sociale esiste, la rabbia pure, noi sapremo da che parte stare.