La manovra varata dal Governo Monti è la prima manovra non democristiana del nostro Paese. Lo dimostrano gli strilli di Bonanni ed Angeletti.
Un governo politico di tecnici ha prodotto una manovra scientifica, priva di sbavature, senza appello. Una lucida scelta di totale internità al quadro politico di gestione europea della crisi verso la totale integrazione in un super stato europeo - sotto l’egida di Francia, Germania e, se si comporta bene come sta facendo, anche della nuova Italia a guida tecnocratica -, che assuma un’unica governance delle politiche fiscali, delle scelte sul piano internazionale, sulla difesa, sulle politiche sociali eliminando le sovranità nazionali.
Una manovra di destra, “in continuità migliorata” con le scelte di Tremonti, Sacconi e Berlusconi che avrebbero voluto fare le stesse cose ma non ci sono riusciti, per colpa loro e non dell’opposizione.
Ora la manovra c’è e come era prevedibile colpisce duro la parte più debole del confronto tra capitale e lavoro per ristabilire il completo comando dei padroni, delle banche , della borghesia.
La manovra è in questo senso anche una manovra politica e politiche sono le scelte operate. Togliere l’indicizzazione delle pensioni al costo della vita, peraltro sempre al ribasso rispetto alla realtà, e non procedere all’aumento delle aliquote Irpef per i redditi più alti non è una scelta di campo, e quindi politica?
Aumentare l’età pensionabile anche oltre i 40 anni di lavoro – che sono già un’enormità – e farci rimanere fino a 70 anni, quindi chiudere ogni spazio all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, estendere il contributivo a tutti e quindi produrre un abbassamento consistente delle pensioni per favorire ancora di più i fondi pensione privati che stentano a decollare sono scelte politiche per non dire ideologiche.
Non introdurre nessun serio provvedimento per combattere l’evasione fiscale, non colpire i patrimoni di quel 10% che detiene il 50% della ricchezza sono scelte politiche, di destra.
Tornare ad aggredire il reddito con la reintroduzione dell’ICI sulla prima casa, dopo aver per anni interrotto la costruzione di case popolari e costretto milioni di famiglie all’indebitamento per acquistarne faticosamente una, è non solo una scelta politica ma anche di scarsa lungimiranza perché oggettivamente recessiva.
Raddoppiare le spese per le missioni “di pace” è una scelta politica di destra, come le privatizzazioni, le liberalizzazioni e la svendita del patrimonio pubblico.
La scientificità e la non democristianità della manovra sta anche nell’approccio nuovo che il governo ha avuto nei confronti delle parti sociali che ora chiamano allo sciopero non sui contenuti della manovra ma sul reato di lesa maestà.
Bonanni, Angeletti e la Camusso sono in balia degli eventi. Si trovano orfani della consolidata prassi della condivisione preventiva che avevano sempre avuto garantita, chi più chi meno, e temono per la perdita di funzione e quindi invocano la riapertura di canali di concertazione che, comunque, non mancheranno quando si tratterà di metter mano al contratto nazionale o allo Statuto. Devono contenere la spinta e la rabbia interna per non rischiare di mettere in crisi i rispettivi partiti di riferimento che sono tutti proni al governo di salvezza nazionale; sono più interessati a farsi sgambetti, nell’ottica della regolazione dei conti fra loro, con la convocazione di scioperetti di facciata che a capire dove si trovano e che sta succedendo.
Eppure ci troviamo immersi in una crisi di cui non si vede la via d’uscita, ci sta succedendo che nessuno, se non i mercati, ha più alcuna voce in capitolo. Tutti sanno che questo non si risolverà dentro l’ambito dell’Unione Europea e del ricatto del pagamento del debito, solo che fanno finta di non saperlo e di non vederlo perché hanno scelto di starci dentro, immersi fino al collo, senza provare a darsi una prospettiva diversa.
Per questo uno sciopero generale non può che essere costruito sulla parola d’ordine della cacciata del Governo Monti, sul non pagamento del debito, sull’uscita dall’Unione Europea. A questo dobbiamo lavorare, per costruire, all’inizio del nuovo anno, un movimento ampio e duraturo che sia capace di produrlo.