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Comunicati generali Gli editoriali

NON BASTA DIRE SCIOPERO

Nazionale,

LA DOPPIEZZA DELLA CGIL E L’ OSTINATA RICERCA DELL’ UNITA’ CON CISL E UIL. PER COSA SCIOPERA LA CGIL?

Franco Martini, segretario confederale CGIL, consegna a Rassegna.it l’interpretazione autentica della strategia alla base dello sciopero generale del 12 dicembre: “confermeremo la proposta di sciopero generale in un quadro di ostinata ricerca del rapporto con Cisl e Uil”. Caparbia tenacia nel ripercorrere la strada antica che il gruppo dirigente della CGIL ritiene aver dato ottimi risultati: dalla riforma Fornero al blocco dei contratti, dal taglio dei servizi pubblici all’esplosione della disoccupazione.

Dopo la solitaria manifestazione del 25 ottobre, vissuta nel segno della ritrovata unità tra Camusso-Landini, ora la CGIL, mobile come la piuma al vento, volge lo sguardo dall’altro lato e aggrega la Uil per indire uno sciopero contro il Jobs Act, un provvedimento presentato dal governo il 3 aprile 2014, già discusso e approvato dal Senato il 6 ottobre, che sarà approvato alla Camera indicativamente il 26 novembre, anche con il convinto sostegno di quella sinistra PD che abbiamo visto calorosamente abbracciata alla Camusso in Piazza San Giovanni.

Quindi, da aprile a oggi neppure un’ora di sciopero. Ora, fuori tempo massimo, a provvedimento praticamente approvato, si chiamano i lavoratori alla lotta. Non solo.

Dopo la Uil, allo sciopero aderisce anche il sindacato della destra Ugl, il cui segretario Capone (un cognome, un programma) auspica "di vedere anche la Cisl scioperare insieme alle altre sigle". Dopo il governo anche il sindacato sarà di unità nazionale.

Infatti, la separazione della Cisl il 12 dicembre è solo la vacanza di un giorno che non romperà il ménage a tròis consolidato negli anni. Peraltro questo sindacato riscopre nel pubblico impiego il valore dello sciopero, dopo averne negato per un decennio l’utilità. Probabilmente ha la necessità di dichiarare la propria esistenza in vita alla vigilia delle elezioni delle RSU.

Il sindacato guidato da Camusso, dopo aver promosso la manifestazione del 25 ottobre e indetto frettolosamente lo sciopero generale a sostegno delle posizioni della minoranza PD, si trova adesso nella difficile condizione di non poter fare retromarcia, ma nel contempo di non saper più quali motivazioni dare alla propria iniziativa, dopo l’accordo raggiunto all’interno di questo partito.

La via d’uscita il gruppo dirigente della CGIL la trova nella riproposizione della doppiezza utilizzata ormai da anni.

Da tempo Camusso gioca la carta  dell’esposizione mediatica con dichiarazioni roboanti (da “l’articolo 18 non si tocca”, alla mitica difesa della previdenza “ il governo deve sapere che 40 è un numero magico”). Ma alle parole non seguono mai i fatti.

Come ha confermato la lettera agli iscritti della segretaria generale CGIL dell’ottobre scorso, i punti cardini del programma della CGIL sono ampiamente compatibili non solo con quelli di CISL e UIL, ma anche con il programma di Renzi. A conferma di ciò, basti ricordare la proposta di creare il contratto a tutele crescenti identica a quella avanzata da Renzi (mentre nelle dichiarazioni stampa Camusso, lo addita come il male assoluto).

Inoltre la CGIL pur dicendosi contraria alla spending review, difende il ruolo dell’Europa della finanza che, con le sue regole, ci impone di restituire ogni anno per vent’anni almeno 40 miliardi di euro causando l’inevitabile “ taglio indiscriminato della spesa pubblica (TIASP)”. Si raccolgono le firme contro la parità di bilancio in Costituzione, ma non si ritira la firma dall’avviso comune sottoscritto insieme a Cisl Uil e Confindustria il 4  agosto 2011 che conteneva esplicitamente la richiesta del “Pareggio di bilancio nel 2014”   e il “Pareggio di bilancio come obbligo costituzionale”. Ci si dice contrari alla riforma Fornero, “ma dopo uno sciopero di tre ore non ce ne siamo più occupati” parole di Carla Cantone segreteria generale dei pensionati. Ci si lamenta che il governo non riconosce il ruolo del sindacato, ma si firma con Confindustria l’accordo del 10 gennaio che impedisce ai lavoratori di poter scegliere liberamente con il voto il proprio sindacato se questo è conflittuale e di opposizione.

Lo sciopero non è il fine, ma lo strumento per raggiungere un obiettivo. E, se l’obiettivo è sbagliato, lo sciopero non è inutile, è dannoso. Gli obiettivi alla base dello sciopero del 12 dicembre non sono moderati, sono proprio sbagliati.

Anziché ribaltare il tavolo si chiede al Governo e a Confindustria, di riprendere a concertare (per questo vi è l’ostinata ricerca dell’unità con Cisl e Uil), accettando di mettere al centro gli interessi dell’impresa e della finanza. Oggi non c’è più neppure la foglia di fico dell’art.18, avendolo gli alleati della CGIL nel PD  barattato con il proprio ruolo dentro questo partito.

Dopo il 12 dicembre la CGIL non aprirà nessuna stagione conflittuale contro il Governo. Scorrendo l’agenda degli anni passati abbiamo ritrovato uno sciopero generale il 12 dicembre 2011, nel novembre 2012, un altro unitario nel novembre 2013. Uno ogni anno, ma prima e dopo il vuoto. Quindi non poteva mancare nel 2014.

Uno sciopero senza obiettivi diviene un efficace metodo per delegittimare il conflitto, dimostrando che la lotta non paga, spingendo i lavoratori e le lavoratrici verso la rassegnata accettazione dello status quo.

USB, con le costanti iniziative di lotta confederali, di settore, di azienda è stata l’unico soggetto sindacale di questo paese che ha proposto una coerente piattaforma rivendicativa, adattandola alle specificità senza mai perdere di vista i propri valori  fondativi.

In conclusione, nessuna credibilità può essere concessa allo sciopero del 12 dicembre indetto da CGIL, Uil e Ugl.

Ci dispiace per le migliaia di lavoratori e lavoratrici che scenderanno in piazza in questa giornata con la volontà di cacciare Renzi e di opporsi alla Troika europea. Ma è giunto il tempo che prendano atto che la dirigenza CGIL non la pensa così. Gli scioperi che hanno queste parole d’ordine sono quelli promossi da USB, gli ultimi in ordine di tempo, il 19 giugno (pubblico impiego), il 24 ottobre e il 14 novembre, che hanno saputo dare una prospettiva strategica chiara ai lavoratori e alle lavoratrici, riuscendo nel contempo a coagulare, insieme a centinaia di movimenti, le energie proveniente dalla crescente opposizione sociale ormai dilagante nel paese.

Se prendi l’autobus sbagliato, certamente ti muovi, ma vai dalla parte opposta di dove volevi andare. Questo vale anche per gli scioperi.

Alla fermata del “12” c’è l’autobus sbagliato.