“Dopo la conferenza stampa del Presidente Renzi, i pubblici impiegati non possono dormire sonni tranquilli. Infatti, come con i governi precedenti, i lavoratori pubblici sono ancora il primo bersaglio delle politiche economiche sul lavoro e in particolare della spending review”, osserva Massimo Betti, per l’Esecutivo nazionale USB Pubblico Impiego. “I tagli alla spesa pubblica – rileva il dirigente USB P.I. - rimangono elemento centrale dell’azione di Governo, che conferma i contenuti delle legge di stabilità dell’esecutivo Letta, con l’abrogazione del divieto di ‘reformatio in peius’ dei trattamenti economici, ovvero la possibilità di tagliare gli stipendi ai pubblici dipendenti che verranno trasferiti o accorpati ad altri enti a causa dei processi di riorganizzazione. In questo modo si conferma che da oggi, e per i prossimi tre anni, decine di migliaia di lavoratori pubblici saranno messi in mobilità”. “Si attacca anche la Sanità, che viene reinserita dentro la spending Review del Commissario Cottarelli. E non è nemmeno un caso che sarà di 25.000 euro lordi la soglia per ricevere la mancia di 80 euro mensili promessa dal premier – sottolinea a Betti - visto che lo stipendio medio dei dipendenti pubblici non dirigenti, come attestato dall’ARAN, è pari a 26.800 euro. È evidente che questa mancia toccherà solo un parte esigua della categoria e non compenserà di certo le forti perdite salariali già subite dai lavoratori, a fronte di un contratto bloccato dal 2010, per il quale i governi hanno tagliato oltre 6 miliardi agli stipendi pubblici”. “Dopo anni che lo sottolineiamo – ricorda il sindacalista - il governo si è accorto che i dirigenti della P.A. sono troppi rispetto alla media europea e che la forbice retributiva fra dirigenti e non dirigenti è aumentata in termini spropositatati. Si utilizzi allora anche quel differenziale per sbloccare finalmente il contratto nazionale”. “Per tutto questo, siamo ancora più determinati nell’aprire la mobilitazione dei lavoratori pubblici, con la manifestazione di domani a Roma contro la spending review”, conclude Massimo Betti.
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