A GENNAIO SCORSO IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE È SALITO AL 12,9%: CHI È SENZA POSTO NON SI SOGNA DI CHIEDERE PRESTITI PER L’ABITAZIONE. IL PIANO PROMESSO DA RENZI ARMA PER BATTERE LA CRISI DEL MERCATO IMMOBILIARE. LA SITUAZIONE NEGLI USA
Walter Galbiati
Milano. Poco lavoro, poco credito, pochi mutui. «La disoccupazione è al 12,9%. Cifra allucinante, la più alta da 35 anni. Ecco perché il primo provvedimento sarà il JobsAct». È affidata a un tweet di Matteo Renzi una delle prime indicazioni programmatiche del nuovo governo e punta dritto a uno dei più gravi problemi dell’Italia, la mancanza di lavoro che diventa qualcosa di drammatico, quando la visuale si restringe al mondo dei giovani. Il 2013 è stato il peggior anno dall’inizio della crisi e il 2014 è iniziato sotto la stessa stella. A gennaio il tasso di disoccupazione è balzato al 12,9%, in rialzo di 0,2 punti percentuali su dicembre e di 1,1 su base annua. Tra i giovani che lo cercano, i senza lavoro sono il 42,4%.
La spiegazione di come sia calata la richiesta dei mutui sta in queste cifre: senza la certezza del lavoro, nessuno si sogna di andare a chiedere un mutuo in banca. Nel 2013 le richieste di prestiti delle famiglie italiane sono calate del 4,7%, mentre le domande per accendere nuovi mutui sono scese del 3,6%. Il dato emerge dal Barometro Crif, basato sull’analisi dell’andamento delle domande arrivate agli istituti di credito in Eurisc, il sistema proprietario che raccoglie i dati relativi ad oltre 77 milioni di posizioni creditizie.
Sull’andamento del settore «pesa — si legge nel report — la situazione di nove milioni di italiani che si trovano in una situazione di disagio occupazionale, che induce molte famiglie ad adottare un atteggiamento prudente».
Sul fronte opposto, quello delle banche, le erogazione da parte degli istituti di credito sono scese dell’8% a 22-23 miliardi. A pesare qui sono il credit crunch e le ristrettezze di bilancio, in vista dei nuovi requisiti patrimoniali richiesti da Basilea III, un insieme di provvedimenti approvati dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria dopo la crisi del 2007-08 con l’intento di migliorare «la regolamentazione prudenziale del settore bancario, l’efficacia dell’azione di vigilanza e la capacità degli intermediari di gestire i rischi che assumono».
La situazione non è diversa in Spagna, il Paese che tra quelli europei presenta una situazione occupazionale più simile alla nostra, con una grande fetta di giovani esclusi dal mondo del lavoro. Secondo l’ufficio di statistica, a dicembre, mese su mese i mutui casa degli spagnoli sono diminuiti dell’11,5%. Per capire, però, cosa potrebbe succedere da qui in avanti, più che guardare ai vicini europei, si deve varcare l’Oceano e andare là dove è iniziata la crisi dei mutui ipotecari, negli Stati Uniti. La Fed nell’ultimo Beige Book, il rapporto sull’andamento dell’economia Usa, ha indicato, nonostante il calo delle erogazioni dei mutui, un lieve miglioramento del settore immobiliare, mentre il neo governatore, Janet Yellen, ha ammonito che il comparto «resta altamente dipendente dal supporto governativo». Da questo punto di vista «sarà molto importante il ruolo che il congresso attribuirà al governo» nella politiche di finanziamento del mercato della casa. Non si deve dimenticare infatti che due dei più importanti player a stelle e strisce, Fannie Mae e Freddie Mac, salvati dalla bancarotta con i soldi degli americani, sono ancora in mano allo Stato, al quale però hanno riservato non poche soddisfazioni. Nel quarto trimestre del 2013 Fannie Mae ha registrato utili per 6,5 miliardi di dollari, l’ottavo trimestre redditizio consecutivo, grazie al forte rialzo dei prezzi delle case. Il mese prossimo la società verserà al Tesoro 7,2 miliardi di dollari, che aggiunti ai 114 miliardi già versati, faranno superare i 116 miliardi ricevuti come aiuto dai contribuenti statunitensi. Lo stesso discorso vale per Freddie Mac, che ha chiuso il quarto trimestre con un profitto (il nono consecutivo) di 8,6 miliardi di dollari, portando gli utili per l’intero 2013 a un massimo storico di 48,7 miliardi di dollari, più del quadruplo degli 11 miliardi di dollari guadagnati nel 2012. Il mese prossimo Freddie Mac verserà al governo un dividendo da 10,4 miliardi di dollari che porterà a 81,8 miliardi di dollari le cedole totali versate a Washington, una cifra superiore ai 71,3 miliardi di dollari con i quali l’istituto fu salvato dal fallimento. Eppure la situazione desta ancora qualche preoccupazione, come hanno scritto gli analisti di Moody’s. Il timore è che si possa creare una nuova bolla immobiliare, qualora le società di credito non bancarie dovessero spingersi ulteriormente verso i mutui subprime, quelli ad alto rischio e tra i motivi scatenanti della crisi finanziaria del 2008, spinti, a quei tempi, proprio da Fannie Mae e da Freddie Mac. Secondo Moody’s, le società erogatrici di prestiti cercheranno di diversificare le proprie attività, guardando appunto ai subprime, per aggirare il più severo monitoraggio da parte delle autorità di regolamentazione sulle attività strategiche. L’allarme di Moody’s è per il prevedibile peggioramento della qualità del credito e arriva in un momento in cui società specializzate sui mutui sono finite nel mirino delle autorità per la loro rapidissima espansione. Gruppi come Ocwen Financial, Nationstar e Walter Investment hanno comprato centinaia di miliardi di dollari di Msr (Mortgage servicing rights, contratti di servizio per la gestione del mutuo) da banche come Jp Morgan Chase e Bank of America. Ocwen, la maggiore società di intermediazione sui mutui, gestisce da sola prestiti per oltre 500 miliardi di dollari, contro i 43 del 2005. Una nuova tempesta sul settore, porterebbe le banche a chiudere ulteriormente i rubinetti per i finanziamenti all’acquisto di case, prima negli Usa e poi, come è già avvenuto, in Europa. Per il Barometro Crif, sull’andamento dei mutui immobiliari “pesa la situazione di nove milioni di italiani che si trovano in una situazione di disagio occupazionale, che induce molti alla prudenza”
(10 marzo 2014)