Le tematiche dell’infanzia e delle politiche familiari sono da molti anni all’attenzione di politici in virtù della decisione del Consiglio delle comunità europee di attestarsi almeno su una offerta del 33% nei servizi per la prima infanzia e del 90% nella scuola dell’infanzia, entro il 2010, per puntare all’obiettivo del 60% di donne occupate. Ed è un tema spinoso, utilizzato in tutte le campagne elettorali perchè tocca sul vivo i bisogni della gente, ma che nel nostro paese non ha ancora prodotto i risultati attesi.
Al giusto e innegabile bisogno delle famiglie di avere un posto dove poter affidare i propri figli in piena sicurezza e serenità, si risponde ponendo l’accento sulla quantità – peraltro limitata – di strutture che accolgono i bambini sorvolando sui contenuti pedagogici e di cura che diventano drammaticamente un optional.
In questo senso però le scelte politiche sono segnate da un vizio e da una distorsione di fondo che riporta questi servizi verso un modello assistenziale, dove i veri bisogni delle persone – dei bambini, delle famiglie e delle lavoratrici che vi operano – non sono riconoscibili.
Il quadro, a livello nazionale, ci mostra come sia innegabile il trasferimento delle risorse destinate ai servizi all’infanzia verso il privato.
Basta analizzare i dati del monitoraggio presentato dall’Istituto degli Innocenti del “Piano di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia”, per rendersi conto di come gli enti locali hanno innescato un processo di veloce privatizzazione ed un progressivo disinvestimento nel servizio pubblico.
I dati ci restituiscono infatti una realtà in cui la presenza del privato supera abbondantemente il 60% in alcune regioni quali Piemonte o Veneto, con punte dello 70% in Lombardia e questo solo considerando gli asili nido, senza avventurarsi nel campo scivoloso dei servizi integrativi (spazi be.bi. ludoteche, servizi pseudo educativi a domicilio, etc.) dove il privato ancora di più fa la parte del leone.
Il meccanismo, seppure ancora non macroscopico come nel caso della fascia 0/3, riguarda anche le scuole all’infanzia dove il sistema delle convenzioni ai gestori privati e il finanziamento alle scuole paritarie è ormai diventato prassi consolidata.
L’abbassamento degli standard, che definiscono la qualità dell’offerta educativa, è incombente sia nei servizi pubblici, (dove si è cercato di contenere le spese attraverso riduzioni di organico del personale, maggiore flessibilità, aumento dei bambini che ogni operatrici deve seguire, esternalizzazione dei servizi ausiliari, uso sconsiderato del personale precario) e ancora più nei servizi a gestione privata anche a causa di controlli inesistenti.
Sostanzialmente le scelte governative vanno tutte in direzione di uno smantellamento progressivo del sistema pubblico e l’attacco avviene su più fronti: privatizzare progressivamente i servizi, diminuire le tutele e i diritti dei lavoratori pubblici, come già avvenuto nel privato, trasformando i cittadini in produttori/consumatori che si adattano alle esigenze del mercato.
In questa ottica si inserisce anche la campagna denigratoria portata avanti del ministro Brunetta nei confronti dei dipendenti pubblici, i cui provvedimenti hanno solo l’evidente scopo di rendere più deboli nei diritti e nel salario, i lavoratori attraverso un’ipocrita quanto inapplicabile meccanismo meritocratico. Ci chiediamo infatti quale sarà il metro con cui saranno definite “meritevoli” le educatrici dei nidi e le maestre della scuola dell’infanzia e potranno così avere un riconoscimento economico e quali invece i parametri per le “immeritevoli” alle quali non sarà corrisposto alcun incentivo.
Quali risultati dovranno raggiungere queste lavoratrici? Quelli legati alla capacità di dare e fare cultura per l’infanzia, essere reale sostegno ai genitori nei processi di crescita dei loro figli, o quello più pragmatico di sostenere un numero di bambini sempre più alto nelle classi e non lamentarsi?
Le contraddizioni e la faziosità di questo sistema sono ormai alla portata di tutti: le vertenze che si sono sviluppate in molte città italiane (Bologna, Firenze, Genova, Milano, Roma, ...) stanno ad indicare una forte resistenza agli attacchi che i servizi stanno subendo.
La matrice comune, che muove le singole vertenze territoriali messe in campo dalle strutture RDB, deve però portare necessariamente ad una strategia condivisa su tutto il territorio nazionale in grado di sviluppare e rendere più incisiva la capacità di intervento per contrastare le politiche governative.
Contemporaneamente occorre assumere l’obiettivo, in collaborazione con le nostre strutture territoriali, di avviare vertenze per l’apertura di nidi e scuole dell’infanzia dove non ci sono (in particolare nelle città del centro-sud), anche al fine di promuovere nuova occupazione, mediante l’utilizzo di risorse nazionali ed europee.
E’ dunque necessario creare una rete nazionale che unifichi le vertenze basandosi su alcuni presupposti fondamentali, primo fra tutti la difesa dei servizi pubblici poiché siamo pienamente convinti che, il nido e la scuola all’infanzia, siano da considerarsi a pieno titolo servizi in cui è fondamentale l’assunzione di una responsabilità pubblica rispetto al tema più generale dell’educazione.
Ma è anche necessario contrastare fortemente il Decreto Legislativo 150/2009 e il sistema di valutazione previsto da Brunetta, in quanto, per il personale dei servizi educativi, risulterebbe ancora più iniquo e difficilmente oggettivo.
Infine vogliamo porre l’accento sul significato delle lotte portate avanti in questi mesi, la cui valenza va oltre la salvaguardia del proprio salario, perché riguarda direttamente la difesa della complessa professionalità di questa categoria.
Le operatrici, chiamate ad assumere una articolata e delicata serie di competenze, devono essere considerate allo stesso livello degli insegnanti della scuola dell’obbligo in termini di sviluppo professionale.
E’ in questa ottica che reputiamo necessario aprire una campagna vertenziale che permetta il riconoscimento professionale del personale educativo attraverso un inquadramento nel CCNL in categoria D e una significativa riduzione del precariato.
Le nostre strutture territoriali sono quindi chiamate a organizzare momenti di discussione a livello regionale (oppure provinciale) su questi temi per ribadire la necessità di:
- potenziare in qualità e in quantità l’offerta pubblica di strutture educative e scolastiche per la fascia 0-3 anni con particolare attenzione per le regioni meridionali;
- ridurre drasticamente il ricorso al precariato mediante un progressivo assorbimento in ruolo;
- contrastare il sistema di valutazione previsto dal decreto legislativo 150/2009;
- avviare una vertenza nazionale per il riconoscimento della cat. D al personale scolastico ed educativo;
- creare una rete nazionale di collegamento tra tutte le vertenze del settore.
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