(41/22) Per chi conosce dall’interno l’Inps e le logiche che muovono le scelte organizzative dei vertici, quello che sta accadendo negli ultimi mesi in molte sedi non è una sorpresa ma la conferma di una facile profezia.
L’Istituto è retto da una fallimentare organizzazione del lavoro introdotta nel 2010, che in poco più di un decennio ha distrutto quasi completamente il sistema precedente (cosiddetto per processi) sostituendolo con un meccanismo simile alla catena di montaggio (cosiddetto per flussi).
Questo modello organizzativo, imposto dall’alto e da subito fortemente contrastato dalla USB, ha determinato una eccessiva parcellizzazione dei processi produttivi nelle sedi territoriali, con la conseguente riduzione di professionalità del personale. L’operatore con profonda conoscenza dell’intero ciclo produttivo della sua area di lavoro è stato costretto a gestire una singola fase del processo.
Tra i tanti danni prodotti da questo intervento ricordiamo la perdita di visione d’insieme e l’impossibilità di intervenire efficacemente su emergenze e criticità.
A questo si aggiunge la cronica carenza di personale, che obbliga i lavoratori a gestire sempre più velocemente lavorazioni diversificate. Una situazione ingestibile e fonte di grandissimo stress.
L’Amministrazione però tira dritto e, anziché ripensare discutibili scelte passate, con il “Reassessment” introdotto in piena pandemia porta all’estremo la frammentazione dei prodotti e il modello catena di montaggio, arrivando addirittura a dividere la prima liquidazione dalla gestione successiva di ogni singola prestazione.
Non stupisce che un simile modello, ancora una volta calato dall’alto ed esteso a tutti i territori sulla base degli esiti alterati di una fallimentare sperimentazione effettuata in sole tre sedi, abbia prodotto malcontento e netta opposizione da parte dei lavoratori, che lo hanno bocciato in massa aderendo in gran numero alle iniziative di protesta e agli scioperi organizzati dalla USB.
Il fronte sindacale non è però stato compatto nel contrastare le scelte dell’Amministrazione. Qualche tiepida rimostranza si è sciolta come neve al sole con la firma da parte di CGIL, CISL, UIL e CONFSAL UNSA del contratto integrativo 2020-21, che avalla integralmente il “Reassessment”.
La dirigenza territoriale, in gran parte desiderosa di compiacere i capi e obbligata a dimostrare ufficialmente entusiasmo per un progetto che nel privato non gradisce, ha risolto il problema applicando il “Reassessment” solo sulla carta. Di fatto, la maggioranza dei lavoratori continuano ad operare come in precedenza. Gli sportelli sono gestiti dagli stessi colleghi di buona volontà e non – come sarebbe previsto - da un piccolo e spesso improvvisato “Nucleo Base di Servizi Standard”.
La formazione, a due anni dalla pubblicazione della Circolare, è assente o limitata. I responsabili comprendono che l’operatore “tuttologo” (che poco o nulla sa ma tutto o quasi fa) a cui aspira la riorganizzazione è assolutamente improponibile e chiedono la collaborazione dei colleghi per tirare avanti nel caos generale.
Non bastano la magniloquenza e l’uso a piene mani di termini inglesi a nascondere il vuoto di contenuti e la mancanza di un pensiero strategico, se non di lungo almeno di medio periodo. Si vive di espedienti e si cerca di fare fronte alla carenza di organico spremendo sempre di più i lavoratori. Promesse di attribuzioni di indennità e minacce di brutte pagelle sono funzionali all’imposizione autoritaria della ricetta.
USB non accetta che si giochi con la buona fede e la disponibilità dei lavoratori e invita tutti a valutare attentamente quello che accade nelle sedi e a trarne le dovute conclusioni. Più ci si arrampica sugli specchi e si negano i problemi, più forte sarà il rumore nell’inevitabile caduta.
NO AL REASSESTMENT
SI AD UN PROGETTO CONDIVISO DI RIORGANIZZAZIONE DEL LAVORO NELLE SEDI
“O mangi questa minestra o salti dalla finestra”
“Finalmente un linguaggio nuovo, autorevole e convincente”
(Altan, 1990)
Roma, 6 aprile 2022 USB Pubblico Impiego INPS