Relazione Coordinamento Nazionale di Parastato
12-13 marzo 2009
Aprendo la discussione del coordinamento nazionale di Parastato vorremmo partire da dove c'eravamo lasciati con lo scorso coordinamento, a cominciare dall'analisi del tanto che è accaduto in questi pochi mesi che hanno separato i nostri due appuntamenti. Per fare questo non si può non partire da un’analisi del 17 ottobre che non possiamo considerare come una sorta di “dato acquisito” e da “archiviare” , ma che necessita sicuramente di alcune considerazioni se vogliamo avere chiaro il percorso che abbiamo fatto sin qui, soprattutto nella prospettiva di quello che ci aspetta nei prossimi mesi. E' innegabile che la straordinaria forza espressa con la giornata del 17 conferma che le parole d’ordine e la piattaforma, poste alla base dello sciopero generale, hanno trovato reale riscontro nella necessità di mobilitazione dei lavoratori; parole d'ordine e piattaforma che sono diventate terreno di discussione all'interno delle singole categorie, dei singoli settori e dei singoli territori, e che sono state fatte vivere in maniera capillare all'interno dei posti di lavoro, tanto da creare la consapevolezza necessaria a consentire la forte risposta che è stata data agli attacchi ai diritti dei lavoratori.
Una risposta adeguata che ha rivendicato la difesa del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni attraverso aumenti contrattuali veri, la reintroduzione della scala mobile, la stabilizzazione dei precari, la riqualificazione e il rilancio dei servizi pubblici, i diritti dei cittadini immigrati. Una grande giornata di mobilitazione che non ha rappresentato la fase finale di un percorso, bensì un momento “alto”, concretizzatosi nello sciopero generale di tutte le categorie, tappa necessaria che ha dimostrato ancora una volta la capacità del sindacalismo di base di essere punto di attrazione e di riferimento di settori sempre più ampi del mondo del lavoro, che hanno riconosciuto in quella giornata, e nella piattaforma alla base della mobilitazione, gli strumenti, non solo per manifestare una ferma opposizione ai provvedimenti del Governo, ma anche per esprimere una nuova voglia di protagonismo.
Mercato è bello, privato più bello ancora, diceva l'ideologia dominante negli anni '90 e sulla base di queste parole d'ordine, tagli al reddito, tagli alla spesa pubblica, tagli ai servizi sociali, privatizzazioni, esternalizzazioni, tutto sulla pelle degli strati più deboli della popolazione e dei lavoratori dipendenti, con tratti comuni a tutti gli schieramenti che, a partire da quegli anni, si sono succeduti al Governo. Oggi però non sono più la politica e le ideologie di partito a determinare le scelte, ma una crisi prodotta dalla divaricazione tra riduzione dei redditi da un lato e ricorso al credito finalizzato ai consumi dall'altro, che rimpolpando la speculazione finanziaria, ha spinto le famiglie all'indebitamento. L'impossibilità per le banche di “esigere” i crediti ha prodotto la crisi finanziaria che si è trasformata in crisi economica con l'inevitabile contrazione dei consumi e crollo dei mercati. La risposta del Governo a questo stato di cose è il ricorso allo Stato, l'uso dei soldi pubblici per sostenere banche, assicurazioni, imprese multinazionali, in crisi. Questo si traduce inevitabilmente in nuovi tagli alle pensioni, alla sanità, alla scuola, in tagli al reddito dei lavoratori pubblici, in licenziamenti dei precari: risposte irrazionali di una classe politica incapace di risposte adeguate alla crisi, in un quadro in cui né il fronte sindacale, lacerato da pesante crisi di ruolo e di funzione, né i partiti di centro sinistra sono più in grado di esercitare quel ruolo di controllo politico dei settori sociali che li ha sempre caratterizzati. Sono queste le condizioni generali con le quali dobbiamo fare i conti e che aprono prospettive di sviluppo per il sindacalismo di base.
La partecipazione altissima allo sciopero generale del 17 ottobre, indica in maniera evidente che l’unità del sindacalismo di base rappresenta un valore aggiunto, apprezzato e sostenuto dai lavoratori, capace anche di rappresentare punto di attrazione per alcuni settori “sensibili” all'interno dei sindacati concertativi. E dimostra che questa strada, così come è stato confermato dall'assemblea nazionale Cub SdL e Cobas che si è svolta Roma il 7 febbraio e che ha segnato il passaggio dal patto di consultazione al patto di base, sia quella da perseguire, pur nella consapevolezza delle difficoltà e delle differenze che esistono tra le singole organizzazioni sindacali di base. Che le differenze esistano è evidente, e la diversa valutazione che è stata data sulla partecipazione allo sciopero del 12 dicembre, promosso dalla CGIL, e fatto proprio dal sindacalismo di base, ne sono forse la prova più evidente. Nonostante una comprensibile preoccupazione sulla gestione di una non partecipazione della RdB mentre scioperavano, non tanto la Cgil, quanto il resto della Cub e il resto del patto di consultazione del sindacalismo di base, le strutture della RdB hanno dato una forte prova di comprensione della fase e i momenti di adesione allo sciopero del 12 dicembre, dettati più da necessità territoriali che da ferma convinzione sulla necessità di adesione, rimangono pochi casi isolati. Purtroppo, come era stato chiaramente previsto, lo sciopero del 12 dicembre ha fatto registrare un evidente passo indietro rispetto a quanto raggiunto con lo sciopero di ottobre, e la sua gestione trionfalistica, dovuta alla necessità di nascondere la scarsa riuscita non solo dello sciopero, ma anche delle manifestazioni di piazza, ci ha impedito di denunciare il fallimento completo dello sciopero della Cgil, che ha visto una partecipazione bassissima persino dei suoi stessi delegati sindacali. Per fortuna però l'errore fatto è stato compreso a pieno, tanto da far registrare la mancata partecipazione di tutte le confederazioni del Patto di Base allo sciopero della FIOM e della Funzione Pubblica Cgil del 13 febbraio.
Ora dobbiamo continuare a perseguire questa strada, a partire dalla preparazione di altri due importanti appuntamenti indicati dall'assemblea del 7 febbraio e che riguardano la manifestazione nazionale a Roma il 28 marzo e lo sciopero, con manifestazioni regionali, il 23 aprile. La scelta della data del 28 marzo per una nuova giornata nazionale di lotta è dettata dalla coincidenza con la riunione dei ministri del welfare del G14 che si riuniranno a Roma per riproporre quelle stesse ricette che hanno causato la crisi e l’impoverimento di strati sempre più vasti della popolazione, per scaricarne ancor più i costi sui lavoratori attraverso tagli ai salari, all'occupazione, alle pensioni, ai servizi sociali e alla pubblica amministrazione. Alle ricette di chi la crisi la crea ma non la paga, contrapporremo i contenuti della nostra “piattaforma contro la crisi”, scaturita dai lavori dell'assemblea del patto, che prevede il blocco dei licenziamenti, la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, aumenti di salari e pensioni, introduzione di un reddito minimo garantito per i disoccupati, piano massiccio di investimenti per la messa in sicurezza di scuole e luoghi di lavoro, eliminazione del precariato...
Due appuntamenti importanti quindi per preparare i quali tutta l'organizzazione è chiamata al massimo sforzo.
E' ormai chiaro che l'attacco al pubblico impiego, che da alcuni mesi stiamo vivendo in maniera sempre più pressante, non è evento isolato, ma tutto interno alla definizione di un nuovo modello sociale, centrato sulla totale subalternità agli interessi dell'impresa e del capitale. La risposta a questo progetto che sta avanzando a passi da gigante, dal momento che nell'arco di un solo anno sono venuti a maturazione tutta una serie di processi già in atto che hanno radicalmente mutato il quadro complessivo generale, non può che passare attraverso il rafforzamento complessivo del sindacato generale confederale. L'assemblea costituente della Cub, che si terrà il 22-23-24 maggio 2009, va proprio nella direzione di adeguare il progetto sindacale al nuovo contesto che si va delineando, partendo dalla considerazione che si aprono spazi che vanno colmati da un sindacato capace di rispondere in maniera adeguata alla crisi e alle conseguenze che questa avrà sulla pelle dei lavoratori, in termini di attacco ai salari e ai diritti. E' ormai evidente che il modello sin qui adottato, non è più adeguato alla nuova fase che vede un cambiamento radicale della struttura sociale e culturale del Paese, che favorisce una deriva reazionaria che porta gli stessi ceti popolari, i più colpiti dalla crisi e dalle sue conseguenze, a rivolgere paradossalmente la loro rabbia non tanto nei confronti dei veri responsabili del peggioramento delle condizioni di vita, quanto sugli anelli deboli del sistema, si chiamino immigrati, rom... In questo clima, dove proliferano le ronde e la caccia alle streghe, identificate nel diverso, nello straniero, non è più pensabile un modello sindacale basato esclusivamente sulla vertenzialità aziendale ed insufficiente a dare risposte sul piano generale: dobbiamo interrogarci, e darci una risposta veloce, su quale tipo di sindacato sia oggi necessario. Dobbiamo chiederci se un sindacato arroccato in difesa del proprio spazio circoscritto sia adeguato ad affrontare la difficile fase che stiamo vivendo: sono anni che ci ripetiamo questo, ma probabilmente siamo proprio arrivati al momento in cui una riflessione, e conseguentemente una scelta, non sono più rinviabili. Quello che è andato bene sino ad ora, oggi non è più in grado di garantire risposte adeguate alla nuova fase.
L'assemblea costituente della Cub prevede un percorso di tipo congressuale che dovremo far vivere nei singoli posti di lavoro, favorendo al massimo il dibattito e la discussione tra gli iscritti e tra i lavoratori. Rimandiamo al documento congressuale l'analisi più dettagliata del contesto entro il quale si colloca l’assemblea costituente ed al relativo regolamento le modalità ed i passaggi necessari alla sua preparazione. Ci preme però sottolineare che dovranno essere seguite alla lettera le indicazioni sulle modalità previste dal regolamento: le assemblee di posto di lavoro, che dovranno concludersi entro e non oltre il 24 aprile 2009, eleggeranno 1 delegato ogni 30 iscritti o frazione, all’assemblea regionale; le strutture di posto di lavoro dovranno redigere i verbali delle assemblee che dovranno essere inviati al comitato regionale di gestione per la preparazione delle assemblee regionali. E’ evidente che tutta questa prima fase dovrà essere condotta in stretta correlazione con le strutture territoriali: per facilitare questo compito è stata creata all’interno del Coordinamento Nazionale di pubblico impiego una struttura ad hoc, che avrà il compito di accompagnare questa fase. Per il Parastato è stato individuato come referente Massimo Briguori.
L'attacco al diritto di sciopero, o meglio lo smantellamento definitivo di quello che è rimasto di un diritto sancito dalla nostra Costituzione, apre un nuovo capitolo rispetto a quanto Governo, Confindustria e Sindacati concertativi stanno mettendo in atto per impedire l'inevitabile conflitto che si produrrà come conseguenza degli attacchi e delle trasformazioni in atto. In questo modo, restringendo a dismisura gli spazi democratici attraverso la limitazione dei diritti sindacali e democratici del mondo del lavoro e della società, attraverso la militarizzazione del territorio e la limitazione della rappresentanza politica democratica (vedi la previsione della soglia del 4% per le elezioni europee) si tenta di rendere impossibile qualsiasi forma di conflitto. Ne sono la riprova i recenti episodi di intervento della polizia per impedire picchetti e manifestazioni di lavoratori che rischiano, come a Pomigliano, il posto di lavoro. Si vuole impedire ad ogni costo, e con qualsiasi mezzo, che venga alla luce un nuovo soggetto, capace di aggregare i lavoratori su una piattaforma concreta di risposta agli attacchi. Dietro un provvedimento che oggi si vorrebbe far credere pensato per il solo settore trasporti, ma destinato ad estendersi a macchia d’olio in tutto il mondo del lavoro dipendente, il governo prepara il terreno normativo per affrontare la fase attuale e quella futura di grave crisi economica e le conseguenti risposte dei lavoratori al tentativo di farne pagare a loro il costo. Sciopero virtuale, soglia del 50% di rappresentatività per poter dichiarare lo sciopero, referendum preventivo, adesione preventiva, sono tutti strumenti che, accompagnati alle già pesanti limitazioni in atto, attuate dalla Commissione di Garanzia, la dicono lunga sulle reali intenzioni del Governo.
Un altro tassello dell'attacco ai diritti dei lavoratori è rappresentato dalla riforma del modello contrattuale prevista dall'accordo del 22 gennaio, siglato da Cisl, Uil, Ugl... Un accordo che riduce drasticamente la funzione di tutela e di garanzia legata al CCNL, allunga nel pubblico e nel privato la durata della parte economica a tre anni, facendola coincidere con quella normativa, sostituisce alla già insufficiente inflazione programmata un meccanismo se possibile ancora peggiore, attraverso l'introduzione dell'IPCA, indice dei prezzi al consumo armonizzati in ambito europeo per l'Italia, depurato dalla dinamica dei prezzi derivanti dai prodotti energetici importati, come petrolio, gas, energia elettrica... che, come sappiamo, costituiscono parte fondamentale nell'andamento dei prezzi. L'IPCA verrà applicato solo sulla parte fissa e non variabile del salario e pertanto tutta la parte del salario accessorio che in alcuni pezzi della P.A., tra cui il Parastato, raggiunge percentuali intorno al 35%, non sarà interessata all'aumento. Mentre nel privato la differenza tra inflazione reale ed Ipca potrà essere recuperata nel corso della vigenza contrattuale, la stessa differenza nel pubblico impiego potrà eventualmente recuperata solo alla scadenza contrattuale e compatibilmente con i reali andamenti delle retribuzioni di fatto dell’intero settore! Inoltre sulla questione fiscale siamo di fronte ad una vera e propria truffa per il lavoro dipendente: per incentivare la contrattazione di secondo livello saranno concessi alle aziende sconti fiscali e contributivi legati alla produttività. Formalmente viene scambiata maggiore produttività con maggiore salario, in realtà questa “maggiorazione” di salario viene finanziata dallo stato e quindi dal lavoro dipendente che, a differenza di quanto fanno le imprese, non evade il fisco. In pratica i lavoratori lavorano di più, il costo del loro aumento di lavoro viene autofinanziato, mentre i profitti dell'operazione rimangono nelle tasche degli imprenditori! Per i dipendenti pubblici la fregatura è ancora più pesante perché gli incentivi fiscali e contributivi saranno concessi solo “gradualmente e compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica” alla produttività legata al miglioramento dei servizi pubblici. In realtà la produttività si trasforma da misurazione della quantità di prestazione per unità lavorativa in misurazione delle prestazioni in funzione della domanda esterna di mercato, divenendo l'elemento che consente l'eliminazione delle strutture “improduttive” e quindi da sopprimere. La questione della produttività è quindi strumentale e serve solo a colpire la funzione sociale della Pubblica Amministrazione.
Ma l'accordo del 22 gennaio introduce soprattutto un nuovo modello sindacale che, attraverso l'estensione massiccia degli enti bilaterali, che gestiranno non solo la formazione, la certificazione dei contratti... ma anche l'elargizione di sussidi e di ammortizzatori sociali, abdica definitivamente il suo ruolo di difesa, tutela ed emancipazione dei lavoratori. Per capire di che stiamo parlando basti pensare che all’Inail il nuovo piano industriale presentato dal Commissario Sartori prevede la possibilità che le parti sociali, e quindi gli enti bilaterali, siano i certificatori di una sorta di bollino di qualità per le aziende in regola con le misure sulla sicurezza sul lavoro; certificazione che potrebbe portare ad una riduzione della responsabilità civile del datore di lavoro in caso di infortunio anche mortale.
Nel pubblico impiego di fatto la triennalizzazione del contratto è già avvenuta. I bienni economici 2008-2009 che, come nel caso del Parastato, si sono chiusi nel giro di qualche ora, hanno, attraverso l'introduzione della tabella riguardante l’indennità di vacanza contrattuale per il 2010, anticipato i contenuti dell’accordo nella parte riguardante la triennalizzazione. Si è chiuso quindi un triennio, e non un biennio, con aumenti che, per quanto riguarda il nostro comparto si riducono a circa 50 euro medi al mese alla fine dei tre anni.
Sin dalla preintesa siglata il 23 dicembre da Cisl e Uil, abbiamo dato un giudizio negativo dei contenuti del contratto; lettura che abbiamo avuto la capacità di veicolare e far comprendere ai lavoratori del settore che in circa 20.000 hanno espresso attraverso la consultazione che abbiamo messo in campo, il loro giudizio negativo. Riteniamo necessario sottolineare ancora una volta il colpo di mano che ha consentito la firma del CCNL solo da parte di Cisl e Uil, che complessivamente non raggiungono nel comparto il 51% necessario di rappresentatività previsto per la validità della sottoscrizione. Il parere del Consiglio di Stato, “commissionato” ad hoc, rappresenta un altro pezzo dell’attacco alla democrazia sindacale e consente la violazione delle norme da parte degli stessi estensori di quelle stesse norme, quando non più funzionali ai loro interessi. La perdita del ricorso promosso dalla Cgil su questa materia, è l’ennesima dimostrazione che non è pensabile affidare alla magistratura la difesa delle libertà democratiche, che deve essere posta su un altro piano, a partire dalla necessità di coinvolgimento dei lavoratori su tematiche che, se apparentemente non li riguardano, in realtà minano alle fondamenta l’esistenza stessa di uno stato di diritto.
Riteniamo che la consultazione che abbiamo svolto il 10 febbraio abbia rappresentato un forte momento di mobilitazione di tutto il comparto, che ha messo in evidenza la capacità organizzativa delle strutture, anche nella gestione della coincidenza del Referendum promosso dalla CGIL. Il risultato raggiunto, circa 20.000 vere schede votate dai lavoratori, è da considerarsi un ottimo risultato e conferma che il coinvolgimento diretto dei lavoratori su alcune tematiche di carattere generale, sia uno strumento da perseguire ogni qualvolta se ne presenti l’occasione. La non firma del biennio pone però la necessità di un ragionamento in merito a quanto potrebbe accadere anche nel nostro comparto in materia di esclusione dai tavoli. Il tentativo di escludere dalle trattative le Organizzazioni sindacali non firmatarie si è già verificato all’Agenzia delle Entrate, sia sul tavolo nazionale che su alcuni tavoli regionali. È stata data un’immediata risposta di mobilitazione, da parte di tutto il Pubblico Impiego, a questo ennesimo attacco alla democrazia sindacale e siamo in attesa di conoscere l’evoluzione della presa di posizione dell’Amministrazione fiscale: nel Parastato al momento non ci sembra di cogliere segnali in questa direzione; ciò nonostante dobbiamo essere consapevoli che è una possibilità che potrebbe verificarsi ed essere pronti a dare risposte adeguate sia a livello nazionale che a livello territoriale, facendo vivere la questione della democrazia nei singoli posti di lavoro. Dovremo infatti approfittare di questa fase, che questa volta non ci vede più in splendida solitudine, per porre con forza una questione sulla quale ci stiamo dibattendo da troppi anni. Questo non significa cercare delle alleanze con la Cgil, nella speranza che sia pronta a riconoscere che chi è causa del suo mal pianga se stesso: la Cgil, anche se la norma la coinvolge in prima persona, non è “pentita” della volontà espressa all’interno dei contratti di escludere dalle trattative chi non firma; semplicemente ritiene che tale norma non possa essere applicata al biennio economico. Se consideriamo che il prossimo contratto molto probabilmente non vedrà più la differenziazione tra parte economica e parte normativa, risulta abbastanza evidente che la Cgil non farà tesoro di questa possibile esperienza per modificare la condotta sin qui tenuta. Questo a futura memoria di chi vede oggi nella Cgil la possibilità di un recupero di rapporto con i lavoratori sul tema della difesa dei diritti, del salario, della democrazia.
Piuttosto questa fase ci offre l’opportunità di far leva sulle contraddizioni di quella fetta di delegati ed iscritti alla Cgil che crede ancora di appartenere ad un sindacato portavoce degli interessi democratici dei lavoratori. D’altra parte è ormai evidente che la contestazione da parte della Cgil degli accordi raggiunti senza la sua partecipazione, non riguarda tanto il merito dei contenuti di quegli stessi accordi (basti pensare a quello del 22 gennaio sulla modifica dell’assetto contrattuale), quanto il fatto che viene messa in discussione la sua rendita di posizione all’interno del panorama sindacale italiano: chiamata ieri a svolgere il ruolo di opposizione al Governo in assenza di una reale opposizione politica nel Paese, oggi la crisi del Partito Democratico, la priva definitivamente di una sponda politica di cui aspirava essere l’interlocutore privilegiato.
Nonostante quanto dichiarato nel protocollo del 30 ottobre tra Governo e Cisl, Uil e Ugl, e ripreso poi dai singoli contratti che si sono definiti, il recupero del salario accessorio resta ancora una partita aperta e tutta da giocare. Abbiamo fatto circolare, all’indomani della firma dell’accordo sul biennio economico, la relazione della Corte dei Conti e la nota del dipartimento della Ragioneria dello Stato, che dimostrano inequivocabilmente che le nostre valutazioni in merito alla possibilità di recuperare i fondi in maniera integrale, non erano campate in aria. “Il concreto percorso di attuazione della citata disposizione negoziale”, scrive la Corte dei conti nella relazione di accompagno al contratto dei ministeri, “appare in questo momento indeterminabile” e, aggiunge la Ragioneria dello Stato, “rischia di ingenerare aspettative in merito all’entità ed alla tempistica del reintegro delle risorse”. E’ necessario riprendere quindi l’iniziativa su una partita che ha visto la Rdb svolgere un ruolo da protagonista sin dalla prima uscita del decreto 112 che ha falcidiato il salario accessorio, attraverso forme di lotta a livello sia nazionale che territoriale, che dovranno essere decise in questo coordinamento. Ma dobbiamo avere la capacità di spostare anche il ragionamento su un piano diverso da quello della semplice (si fa per dire!) difesa di quanto è stato sottratto ai lavoratori. Innanzitutto dovremo con fermezza sottolineare e praticare il rifiuto di ogni progetto di produttività in assenza di certezze in merito al quantum che dovrà essere corrisposto ai lavoratori. Contemporaneamente dovremo riprendere un nostro vecchio cavallo di battaglia relativo alla stabilizzazione del salario accessorio, tanto più urgente oggi a causa delle incursioni legislative in questa materia. Infatti non solo tagliano i fondi del salario accessorio, non solo non è certo che li restituiscano integralmente ai lavoratori, non solo le condizioni per la loro distribuzione saranno, a partire da quanto è previsto dal contratti per proseguire con le indicazioni che emergeranno dai decreti attuativi della 847, legate alla meritocrazia, alla valutazione del dirigente e dell’utenza, ma oltre tutto, se troveranno applicazione i contenuti dell’accordo del 22 gennaio, i fondi del salario accessorio rischiano di scomparire nel giro di pochi anni dal momento che non saranno incrementati neanche da quella miseria di aumenti contrattuali che abbiamo percepito sinora. Si pone quindi la necessità di riaprire la discussione sulla funzione del salario accessorio e di individuare campi di intervento in questa materia. Anche attraverso l’attacco al salario accessorio e quindi al salario complessivo dei lavoratori passa il tentativo di frantumazione del pubblico impiego, riducendone la capacità di resistenza e di opposizione: non possiamo consentire che questa partita venga giocata senza mettere in campo ogni iniziativa capace di ostacolarla.
Per l’ennesima volta siamo costretti a richiamare l’attenzione del coordinamento sulla necessità che una fase così complessa come quella che stiamo attraversando, deve inevitabilmente prevedere una struttura organizzativa adeguata. Purtroppo dobbiamo registrare che i coordinamenti provinciali di parastato, così come quelli regionali, stentano a decollare, quasi fossero una necessità avvertita nella sua urgenza dalla sola Direzione e non dalle strutture territoriali, che dovrebbero viceversa essere interessate in prima persona all’esistenza di un modello di riferimento, reale e non sulla carta, capace di fornire risposte immediate, in termini complessivi, agli attacchi che ormai diventeranno quotidiani nei nostri posti di lavoro. Anche su questo terreno invitiamo i delegati al Coordinamento ad aprire una discussione franca, che, superate una volta per tutte vecchie polemiche, a volte strumentali, su parastato piuttosto che pubblico impiego, ponga le basi per la realizzazione di quanto ci siamo proposti di fare ormai da qualche tempo.
Pensavamo che la data di convocazione di questo coordinamento consentisse la possibilità di aprire una discussione anche sul tema dei piani industriali dei tre Enti previdenziali e su quello più generale delle sinergie, dato che il mandato conferito ai tre Commissari su questa materia, scade alla fine di questo mese. Purtroppo dobbiamo registrare che, ad eccezione della sola Inail, negli altri due Enti Inps ed Inpdap non c’è stato alcun coinvolgimento delle Organizzazioni sindacali nazionali su questo terreno, a dimostrazione che non si debbono disturbare i manovratori. La stessa presentazione affrettata e non esaustiva fatta dal Commissario Inail al tavolo nazionale, non consente di fare una valutazione complessiva, in mancanza di elementi certi di confronto. Quello che possiamo accennare è che al momento sembra che ci si muova sicuramente sul piano della creazione delle case del welfare, ,la cui realizzazione, preceduta da un progetto pilota da attuare su scala regionale in una o due regioni entro dicembre 2009, dovrebbe trovare piena attuazione nel triennio 2010-2012. Per il resto (razionalizzazione delle risorse professionali appartenenti all’area legale e medico-legale, unificazione delle piattaforme e degli archivi informatici e potenziamento dell’interoperabilità tra gli applicativi, gestione comune dei servizi di supporto…) siamo ancora nella campo delle possibilità. Il condizionale è talmente d’obbligo che non ci consente di capire se siamo ancora in una fase interlocutoria tra i tre Enti o se il progetto è più avanzato di quanto riusciamo ad immaginare. Su questa materia la Direzione di Parastato si riserva di fornire quanto prima a tutte le strutture territoriali un’analisi dettagliata capace di fare chiarezza su quanto si sta muovendo su questo versante.
In ultimo un passaggio sulla CRI. La peculiarità dell'ente e la presenza al suo interno di un numero eccezionale di precari, impossibile da gestire come abbiamo fatto nel resto del Parastato, ci ha portato a sperimentare un nuovo approccio alle problematiche CRI, affiancando alla struttura del Parastato, quella dei precari e quella della Sanità. Questo sicuramente ci consente di muoverci in un contesto più generale. Proprio sulla base di queste considerazioni si sta lavorando ad un progetto di riorganizzazione e di rilancio della CRI sulla base del quale sia possibile affrontare la questione precariato nel suo insieme. Crediamo che questa possa essere la strada giusta per affrontare un problema dalle dimensioni macroscopiche.
Riteniamo di aver messo veramente tanta carne sul fuoco. Apriamo ora la discussione con l'obiettivo di far uscire da questo coordinamento una piattaforma rivendicativa del Comparto che, muovendosi nell'ambito generale delle iniziative di tutta l'organizzazione, possa essere veicolata tra i lavoratori del settore. Le condizioni ci sono veramente tutte: sta a noi decidere quale terreno di scontro privilegiare e le modalità di attuazione.
Buon lavoro a tutti!
Roma, 10 marzo 2009
RdB-CUB Pubblico Impiego
Direzione Nazionale Parastato