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Rifiutare l'alternanza scuola lavoro vale un sette in condotta?

Nazionale,

A conclusione delle giornate di primavera del FAI corre l’obbligo di fare qualche riflessione, perché al di là della propaganda patinata che vuole tutti contenti per la riuscita di iniziative che sanno molto di buonismo, esse producono anche dei risvolti inquietanti, soprattutto in un paese in cui l’abbondanza di storia e di cultura dovrebbe garantire altrettanta abbondanza di ricchezza e di sana occupazione.

Che lo stato italiano stia abbandonando le sue prerogative di gestione della cosa pubblica è cosa nota ed è noto come quello dei beni culturali sia solo uno dei tanti settori pubblici che soffrono di una carenza di personale strutturale quanto atavica, tanto che molti siti di interesse storico-artistico restano chiusi ed abbandonati per 363 giorni l’anno, salvo essere visitabili nei soli due giorni di primavera in cui il FAI li apre al pubblico, o quando riservati alle visite dei soli soci e solo in alcuni giorni.

Guardando le immagini che abbondano nei TG nazionali, accompagnate da commenti di giornalisti commossi, bisognerebbe chiedersi come mai un paese così ricco di bellezze antiche, per visitare le quali migliaia di persone sono disposte a trascorrere ore di attesa in fila, non faccia nulla per trasformare tanta bellezza in ricchezza per la collettività, in un’epoca in cui la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, raggiunge altezze ciclopiche, ma deleghi ad un ente privato una sua specifica prerogativa, che permetterebbe anche di produrre occupazione. Perché delega il FAI all’organizzazione delle visite di tante ricchezze artistiche e storiche del territorio?

Ma come le fa il FAI? Come organizza queste visite? Utilizzando una schiera di volontari, giovani e giovanissimi. Giovani ai quali bisognerebbe chiedere se non preferirebbero essere pagati per quello che è un lavoro (e fino a prova contraria il lavoro si paga…) invece che continuare a fare i volontari per qualche fine settimana; così mentre giovani diplomati e laureati nei settori dei beni culturali lavorano sfruttati e sottopagati dentro qualche call-center o qualche bar, altri giovanissimi, alunni della Scuola Pubblica Statale, sono obbligati a fare i volontari per il FAI. E scriviamo obbligati, perché questo “volontariato” in realtà si è trasformato in alternanza scuola lavoro e l’alternanza scuola lavoro è obbligatoria, altrimenti non si è ammessi all’esame di stato. Uno sfruttamento legalizzato: non si è pagati ma tutto è approvato, sottoscritto ed autorizzato con 3 timbri: quello del MiBACT, quello del MIUR e quello del Ministero del Lavoro.

Ricordiamoci che l’etimologia di “volontariato” deriva da voluntas (=volontà) e che si definisce così: “Chi assume un impegno o si presta a operare, a collaborare, a fare qualcosa di propria volontà, indipendentemente da obblighi e da costrizioni esterne”. Ma questi tempi ci costringono a rivedere anche il significato di certe parole e chi vive da lavoratore o da studente in ciò che resta della scuola pubblica italiana lo sa… e così a Napoli succede che un gruppo di alunni del Liceo Classico Vittorio Emanuele II, obbligati a fare i volontari FAI attraverso un progetto di ASL, costretti alla presenza domenicale come “ciceroni”, abbiano messo in scena una protesta pacifica quanto efficace: hanno sostituito i cartellini FAI che li identificava come studenti volontari, con altri fatti da loro, dove denunciavano l’obbligo di presenza perché in alternanza.

La protesta ha incuriosito i visitatori, molti dei quali hanno chiesto spiegazioni ed espresso solidarietà ai liceali, non altrettanto ha fatto la delegata FAI, che non si è limitata a minacciarli, ma è arrivata al punto di presentarsi il giorno dopo a scuola per pretendere che venissero presi provvedimenti disciplinari nei loro confronti.

USB Scuola, contraria da sempre all’alternanza scuola lavoro ed a tutta la pessima riforma 107/15, non può che esprimere la massima solidarietà a questi ragazzi che con coraggio e determinazione hanno mostrato quale deve essere il ruolo principe della scuola: il ruolo di motore di sviluppo del pensiero critico, unico strumento utile a comprendere le trasformazioni sociali, politiche ed economiche e ad assumere una funzione di denuncia all’interno di un sistema e di un mondo che ci vuole servi, massa inconsapevole ed acritica.

USB Scuola è al fianco di questi studenti e li esorta a tenere duro, per loro stessi e per i loro compagni di scuola ed amici che subiranno il mercato del lavoro che gli stanno costruendo intorno, sempre più sarà fatto di flessibilità, territoriale e professionale, di precarietà e di sfruttamento. Non possiamo che incoraggiarli a non fare passi indietro anche con il nostro appoggio che continueremo a combattere contro le riforme che stanno destrutturando le nostre istituzioni pubbliche.