All’interno della Pubblica Amministrazione la percentuale delle donne con contratto a tempo indeterminato è pari al 55-60%.
Nonostante l’aumento progressivo della presenza femminile , resta tuttavia ancora molto bassa la presenza di donne nelle posizioni apicali o di vertice mentre è concentrata nelle qualifiche medio basse ed in mansioni considerate tipicamente femminili. E’ paradossale una così evidente disparità di trattamento tra uomini e donne proprio nella P.A.. ed ancora più grave il fatto che le donne siano maggiormente penalizzate laddove le progressioni di carriera avvengono discrezionalmente in quanto gli uomini vengono considerati più affidabili.
Se questo è quello che abbiamo di fronte oggi è facile immaginare cosa accadrà domani, con l’introduzione a regime dei contenuti del decreto legislativo 150.
Infatti il decreto Brunetta, può essere definito una vera e propria controriforma della Pubblica Amministrazione il cui vero scopo non è quello di creare maggiore efficienza ed efficacia nel settore pubblico, ma quello di preparare la strada, attraverso l’attacco ai lavoratori pubblici, ad un pesantissimo ed ulteriore attacco alla pubblica amministrazione e quindi alla gestione della cosa pubblica, allo stato sociale. Blocco delle assunzioni, tagli agli organici, licenziamento di migliaia di precari, le riforme della scuola e dell’Università, la legge 133/2008… dimostrano in modo inequivocabile la volontà di attaccare i dipendenti pubblici per sopprimere funzioni pubbliche, per privatizzarle. Ma questo attacco non avrà le stesse ripercussioni indifferentemente sugli uomini e sulle donne.
Le donne saranno inevitabilmente quelle più colpite.
Riflettiamo sulle tre fasce di merito con un’angolazione al femminile. Il decreto prevede una graduatoria in ogni pubblica amministrazione basata sulla meritocrazia: i lavoratori pubblici verranno divisi in tre fasce: la prima quella alta dove dovrà essere collocato il 25% del personale al quale corrispondere il 50% del salario accessorio, la seconda quella media, dove sarà collocato il 50% del personale a cui verrà corrisposto l’altro 50% del salario accessorio e la terza quella bassa dove sarà collocato il restante 25% del personale al quale non verrà corrisposto salario accessorio. Sulla base di quali criteri verranno valutati i dipendenti pubblici? Sulla base del raggiungimento di obiettivi anche individuali, ma anche sulla base della qualità del contributo dato al raggiungimento degli obiettivi di struttura, delle competenze dimostrate e ai comportamenti professionali ed organizzativi. E’ evidente che sono tutti concetti non oggettivi e pertanto i dirigenti avranno un ampio margine di discrezionalità di giudizio.
La collocazione in una fascia piuttosto che in un’altra avrà pesanti ripercussioni non solo sul salario ma anche sulla carriera, visto che la possibilità di fare passaggi economici, ma anche progressioni giuridiche è direttamente collegata alla presenza nella prima fascia.
E se gli uomini vengono considerati più affidabili cosa succederà quando la dirigenza avrà il pieno potere di decidere su salario, carriera e anche licenziamento dei singoli lavoratori?
E’ certo che il decreto Brunetta avrà pesantissime ripercussioni soprattutto sulla vita lavorativa delle donne che saranno quelle che pagheranno il prezzo più alto, in quanto il doppio ruolo impedisce loro di avere quella affidabilità richiesta dalla competizione che precede l’espulsione dal lavoro e ancora una volta pagheranno in modo pesante la quasi totale assenza di servizi sociali nel nostro Paese, servizi sempre più soggetti a tagli, attraverso le varie Finanziarie, i piani di rientro, le manovre correttive che continuano a saccheggiare le poche risorse ancora a disposizione per asili nido, scuole materne, servizi sociali per gli anziani e per i portatori di handicap, servizio sanitario.
Torna prepotentemente alla ribalta il tema della donna che deve accudire bambini, anziani, disabili: anche su questo terreno si arretra pesantemente sul piano dei diritti conquistati da decenni di lotte. I dati parlano chiaro: circa il 20% delle donne nel nostro Paese lascia il lavoro alla nascita di un figlio, una percentuale altissima nella fascia di età tra i 35 e i 44 anni è costretta a ridursi l’orario di lavoro per prendersi cura dei figli minori. Le donne si fanno carico del 77% del lavoro domestico e di cura.
Del resto che l’attacco alle donne fosse il percorso tracciato dal Governo è stato chiaro già dall’emanazione delle prime normative emanate da Brunetta che limitavano fortemente l’uso del part-time o della legge 104, strumenti minimi che consentivano però in parte di poter conciliare esigenze irrinunciabili.
E non solo: da quest’anno entra in vigore l’aumento dell’età pensionabile per le donne che lavorano nella pubblica amministrazione.
Bisogna avere 61 anni per accedere al pensionamento di vecchiaia sino ad arrivare ad avere 65 anni nel 2018, con l’aumento di un anno per ogni biennio e questo perché una sentenza della Corte di Giustizia Europea aveva intimato all’Italia di parificare i criteri pensionistici tra uomini e donne. Una presunta parità che non è altro che una mistificazione inaccettabile in quanto da circa 30 anni le lavoratrici italiane hanno la possibilità di prolungare la loro attività lavorativa sino al compimento del 65° anno di età. Una possibilità, che mirava a riconoscere il doppio lavoro che le donne quotidianamente svolgono.
Un’opportunità e non una discriminazione. E allora l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne si può leggere solo come la volontà del governo di scaricare i costi della crisi sui lavoratori ed in particolar modo sulle lavoratrici, mentre si condonano i grandi evasori fiscali e si regalano soldi alle imprese.
Le diseguaglianze sono evidenti. L’aumento progressivo dell’occupazione femminile non è stato accompagnato dalla ridistribuzione dei tempi dedicati alla cura tra uomini e donne , né dal necessario sviluppo della rete dei servizi che anzi vengono tagliati. Tagli che da un lato saccheggiano la pubblica amministrazione aprendo di fatto la porta alle privatizzazioni e dall’altro costringono le donne ad arretrare sul piano dei diritti, respingendole verso le mura domestiche.
Occorre trovare tutti gli strumenti per rimuovere le condizioni di disparità concretamente: non è più tempo di fermarsi a palliativi come l’orario flessibile, il rientro facilitato dopo la maternità o altri strumenti individuati nelle singole amministrazioni.
E’ indispensabile la riqualificazione e l’espansione dello stato sociale e la ripresa di una stagione di lotte per la difesa dei diritti conquistati a fatica da noi e dalle generazioni che ci hanno preceduto.
Coordinamento donne RdB pubblico impiego