SE NON BASTANO I SANTI IN PARADISO,
PER SALVARE LA SANITA' ECCLESIASTICA .........
vuol dire che il sistema sanitario nazionale ha varcato la soglia del disfacimento.
La violenta crisi delle strutture sanitarie ecclesiastiche, come il San Raffaele di Milano, l'IDI di Roma, e strutture non ecclesiastiche come la Maugeri, sono il segno di qualcosa che sta drammaticamente cambiando. Stiamo parlando di centri di potere transnazionali che hanno fatto dell'investimento in sanità il core business che ha consentito loro di movimentare ingenti capitali, di condizionare le politiche sanitarie regionali e quella statale e perché no, di concedersi un po’ di malaffare.
Hanno una condizione amministrativa estremamente opaca come quella delle fondazioni, che qualche tempo fa venivano indicate come il migliore strumento capace di realizzare il processo di privatizzazione della sanità pubblica.
A fronte di questa condizione di vera e propria franchigia normativa – una condizione fortemente ricercata tanto è vero che la nuova proprietà del San Raffaele trasforma la fondazione in srl – si è consentito loro di proliferare in condizioni di massima attenzione politica in termini di concessioni, finanziamenti, visibilità e percorsi preferenziali.
Lo sviluppo a rete di queste strutture sul piano nazionale è da considerarsi come la prova generale per sostituire al sistema sanitario pubblico una serie di network sanitari privati finanziati ovviamente con soldi pubblici. Tanto è vero che troviamo strutture sanitarie di questi enti disseminate su tutto il territorio nazionale con le regioni che chiudono gli ospedali pubblici e investono nelle nuove strutture private, Taranto insegna.
Su questo percorso, aperto dalle strutture ecclesiastiche, si sono poi sospinti privati come Ligresti, Rotelli ed altri, attraverso un processo estremamente chiaro: la possibilità di passare da una sanità privata di tipo speculativo, che si limitava a sfruttare le disfunzioni create ad arte nelle strutture pubbliche, ad una sanità cosiddetta di qualità, capace di monopolizzare l'intero sistema sanitario nazionale, facendo essa stessa sistema.
Un futuro radioso che sembrava non dovesse finire mai, tanto che diventava sempre più possibile distogliere capitali dalla gestione degli enti e utilizzarli per operazioni sempre più opache, il mostro divorava se stesso, ma il finanziamento pubblico faceva da sostegno ad ogni impervia iniziativa.
Qualcosa cambia improvvisamente con il governo dei “tecnici”.
La scelta politica del liberismo, quello vero, non prevede stato sociale e diritto assistenziale; nella sua profonda cultura maltusiana chi cade deve rialzarsi da solo e poco importa che siano realtà come l'Ilva a produrre la morte di intere città. Il taglio lineare dei finanziamenti si abbatte sul sistema e non prevede lo spostamento delle risorse dal pubblico al privato, ma pratica il progressivo e totale definanziamento del sistema.
Decadono i modelli dei processi di privatizzazione fin qui praticati che prevedono di tutto, compreso l'affidamento della gestione produttiva delle strutture sanitarie pubbliche a privati organizzati. Le funzioni pubbliche assistenziali vengono tagliate con il definanziamento, le prestazioni che tali funzioni producono ed erogano vengono semplicemente abbandonate sul mercato e se qualcuno le raccoglie bene altrimenti non è un problema dello Stato.
I finanziamenti diretti, indiretti e trasversali alle strutture ecclesiastiche e del privato di qualità si riducono e la crisi è inevitabile.
Il sistema sanitario ha una complessità strutturale, organizzativa e una molteplicità di professioni che lo rendono di difficile gestione e soprattutto non consentono di ridurre la spesa oltre un limite di guardia che è stato, scientificamente, superato da tempo ormai. Tale complessità non consentirà mai al privato di sostituirsi al pubblico e lo stesso sistema delle assicurazioni nel nostro paese non è in grado di strutturare una simile operazione. Senza l'assistenza del finanziamento pubblico il privato non sopravvive, ma allora perché quel finanziamento non vien reinvestito nelle strutture pubbliche ?
Il tracollo di questi enti si riversa sui dipendenti licenziandoli, sottoponendoli ad ogni tipo di precarizzazione strutturale con contratti di solidarietà, riduzione del salario accessorio, ritardo o non pagamento degli stipendi, con condizioni di lavoro estremamente disagevoli.
L'obiettivo vero è spingere il personale a farsi domanda per conto dell'ente nei confronti delle amministrazioni regionali e del Governo, per garantire il ritorno alla condizione precedente dei finanziamenti certi e poco chiari.
Entrare nella logica della dichiarazione di crisi del datore di lavoro e farsi portavoce delle sue problematiche, non solo non rientra nella nostra modalità di lavoro, ma non produce risultati se non a brevissimo tempo, quando li produce, e diventa una via di fuga che i privati ben conoscono. Allo stesso tempo non è pensabile abbandonare a se stesso il personale, colpevolizzandolo per aver prestato la sua opera in una struttura privata.
Fatti salvi nel breve termine il diritto al lavoro e al salario che devono essere garantiti, la soluzione del problema non può che essere la ripubblicizzazione di prestazioni assistenziali e operatori che le posano garantire. Il Governo può avocare a sé la gestione di settori definiti strategici: per la sanità, che è sempre stato un settore strategico e che è in profonda crisi, l'intervento non può che essere centrale.
Questo vale per tutti i settori in crisi nel paese ma non è una battaglia che i lavoratori delle aree critiche possono assumere da soli come se fosse una vertenza di posto di lavoro. È un scelta da sindacato generale confederale nel paese che, oltre a mirare alla conservazione di un diritto fondamentale come la salute, consente di smascherare le politica governativa.
L'uso strumentale del federalismo è un elemento che viene utilizzato per nascondere relazioni e responsabilità politiche delle istituzioni.
Il potere di controllo e direzione delle politiche territoriali viene accentrato dal governo che introduce il nuovo modello del governo finanziario dei territori. Nel contempo le gestione materiale dei processi di distruzione dello stato sociale viene delegato agli enti territoriali come le regioni che possono solo applicare le scelte politiche del governo e si nascondono dietro i tagli dei finanziamenti.
La ripubblicizzazione delle prestazioni private, al contrario, consentirebbe di riportare nel sistema pubblico ingenti capitali che potrebbero essere usati per il rilancio della sanità pubblica e delle sue prestazioni.
Allora è importante sostenere i lavoratori degli enti assistenziali in crisi, che hanno già fatto da precursori del patto per la produttività, ma all'interno di una strategia chiara che consenta anche di saldare le lotte dei lavoratori delle strutture pubbliche con quelli delle strutture private per la difesa e il rilancio del sistema sanitario pubblico e porsi poi come elemento propulsore per una lotta sociale diffusa, che interessi tutti i settori sociali di riferimento. su questa impostazione la USB è a fianco di chi lotta, per una grande battaglia in difesa dei diritti dei cittadini e dei lavoratori.