(120/21) Il dato provvisorio di adesione allo sciopero generale convocato per l’11 ottobre dalla USB e dalle altre organizzazioni sindacali di base e conflittuali all’INPS è pari al 42,59% del personale delle aree professionali. Un dato probabilmente destinato ad essere ridimensionato nei prossimi giorni a causa delle giustificazioni delle assenze non comunicate in tempo, soprattutto relativamente al personale in smart working, ma che ci sia stata una forte adesione alla protesta è fuori discussione.
Nel giorno dello sciopero generale si sono tenute partecipate manifestazioni in tutta Italia che hanno portato in piazza complessivamente almeno 100.000 lavoratrici e lavoratori. A Roma si sono tenuti presidi davanti al Ministero dello Sviluppo Economico, al Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca e al Ministero per la Pubblica Amministrazione.
Al MISE i lavoratori delle aziende in crisi, come Alitalia, GKN, ex ILVA, hanno manifestato per chiedere la salvaguardia dei posti di lavoro e il rilancio di settori strategici abbandonati dallo Stato. 150 tavoli di crisi aperti al ministero sono il segnale di un padronato sempre più aggressivo e deciso ad inseguire maggiori profitti, anche attraverso le delocalizzazioni, a scapito dei diritti dei lavoratori.
Al MIUR insegnanti, personale scolastico e studenti hanno rivendicato il superamento del precariato e il diritto ad una buona scuola pubblica, che rappresenti la base su cui poggiare il futuro del paese e non solo la fornace nella quale forgiare manodopera per le imprese.
Alla Funzione Pubblica le lavoratrici e i lavoratori della pubblica amministrazione hanno dato vita ad un partecipato e determinato presidio nel quale è stato rivendicato innanzitutto il rispetto per la dignità dei lavoratori pubblici, continuamente offesi, derisi, umiliati dallo stesso ministro che dovrebbe guidare il rinnovamento della burocrazia del paese e dai salottieri televisivi come Ichino, Cacciari e Boeri, che in piena emergenza sanitaria hanno accusato i lavoratori pubblici di stare a casa, seduti sul divano, a non fare nulla.
L’affondo contro lo smart working da parte del ministro Brunetta e dell’intero Governo appare inspiegabile alla luce dei risultati raggiunti e diventa inaccettabile con un’emergenza sanitaria tuttora in corso fino al 31 dicembre prossimo. Laddove il lavoro agile non ha dato i risultati sperati è perché negli anni non si è investito in tecnologia informatica ed evoluzione organizzativa, non certo per indisponibilità delle lavoratrici e dei lavoratori.
Davanti al ministero per la Pubblica Amministrazione i manifestanti hanno chiesto un piano straordinario di 1 milione di assunzioni nel pubblico impiego, per rilanciare i servizi pubblici e internalizzare le attività precedentemente esternalizzate o privatizzate, politiche d’investimento in tutti i settori pubblici, a cominciare dalla Sanità, che attualmente poggia in maggioranza su strutture private in convenzione.
Tra i temi alla base dello sciopero generale c’era il rinnovo del contratto collettivo 2019-2021. Le risorse finora stanziate permettono aumenti medi lordi a regime nel 2021 pari a 78 euro, che rischiano di essere in buona parte erosi dall’aumento delle tariffe energetiche e dagli effetti che questo avrà su tutti i beni di consumo. Un contratto caratterizzato dalla valutazione individuale, che continua ad essere il chiodo fisso del ministro Brunetta, con un sistema di progressioni economiche a tutto vantaggio di chi oggi occupa le posizioni apicali.
I tre presidi romani sono poi confluiti con cortei a Largo SS. Apostoli, dove sono confluiti anche i manifestanti della USB che avevano partecipato al corteo partito da Piazza della Repubblica.
Una giornata di mobilitazione generale che ha rappresentato l’inizio di una dura opposizione al governo Draghi, che continuerà nei prossimi mesi con ulteriori iniziative per evidenziare che ci sono ricette diverse per favorire la crescita del paese, non basate sullo sfruttamento, sul precariato, sui fondi regalati all’imprenditoria privata, sulla sottrazione di diritti ai lavoratori, ma sull’interesse comune, sul benessere collettivo, sulla salvaguardia ambientale e sullo sviluppo sostenibile.