Prosegue la vicenda di Niccolò Daviddi, l’archeologo che nell’estate del 2022 è stato protagonista di una ritorsione da parte dell’impresa archeologica con cui collaborava, che lo ha di fatto escluso dal lavoro per aver denunciato pubblicamente le condizioni cui sono sottoposti molti archeologi italiani: professionisti altamente qualificati che operano sui cantieri edili e stradali per la realizzazione di infrastrutture e sottoservizi di utilità pubblica, al fine di tutelare il nostro patrimonio in un Paese dove il consumo di suolo avanza ogni giorno a ritmi insostenibili.
Condizioni dettate dalle committenze e/o i loro intermediari, che impongono la Partita IVA come requisito per poter lavorare, ma negano poi ai collaboratori qualsiasi possibilità di contrattazione individuale dei compensi (mantenuti bassi a causa di appalti vinti a ribasso) e spesso pretendono di impostare la prestazione secondo le modalità del lavoro dipendente. In tal modo, si garantiscono lo scarico a valle del rischio d’impresa e degli oneri contributivi e, al tempo stesso, la massima flessibilità nella gestione del rapporto di lavoro: come è accaduto nel caso di Niccolò, infatti, quest’ultimo può essere interrotto in qualsiasi momento semplicemente estromettendo il collaboratore dall’assegnazione delle commesse.
Questo rende l’archeologia di cantiere – dove tra l’altro si giocano appalti milionari – un settore particolarmente invivibile, in cui dilagano compensi bassi, ricattabilità, precarietà lavorativa, assenza di tutele e di conseguenza abusi più o meno diffusi; primo tra tutti, il dilagare di “finte” Partite IVA che mascherano lavoro subordinato. Il ricorso sistematico al lavoro autonomo (eludendo la contrattualizzazione) ha avuto inoltre l’effetto di frammentare il settore, rendendo difficile organizzarsi per rivendicare collettivamente i propri diritti.
Con il supporto di Slang-USB, Niccolò ha intrapreso una vertenza nei confronti della società Archeodomus S.r.l. di Roma per vedersi riconoscere lo status di lavoratore subordinato e, di conseguenza, il diritto a un licenziamento formale (e non il semplice “essere lasciato a casa”), alle differenze retributive e contributive secondo il CCNL di settore, alla regolarizzazione di un rapporto che nei fatti era etero-diretto ed etero-organizzato dall’impresa. Viviamo un momento storico in cui, in generale, il mercato del lavoro viene sempre più precarizzato e impoverito dal dilagare di lavoro autonomo finto e coatto. Ma com’è noto, per il principio dell’indisponibilità contrattuale non basta indicare un lavoratore come autonomo affinché sia qualificato come tale: sono le effettive modalità di svolgimento della prestazione a determinare la sussistenza (o meno) di autonomia e, quindi, a stabilire la natura del rapporto di lavoro.
Per queste ragioni, il 28 novembre dalle ore 11:00 saremo in presidio presso il Tribunale Civile di Roma in occasione della seconda udienza della causa legale, insieme al movimento Mi Riconosci? e ad altre realtà partecipi. In solidarietà a Niccolò e a tutti gli archeologi che subiscono quotidianamente gli stessi trattamenti, a causa di un sistema distorto e del tutto deregolamentato dove le imprese fanno cartello e monopolizzano a ribasso il mercato, e dove spesso ci si ritrova isolati.