Tutti i lavoratori di Intesa Sanpaolo sono al corrente della costituzione di una società consortile che dovrebbe raggruppare circa 8.400 dipendenti oggi operanti in DSO, DSI, DIA, Banca Telefonica, Sicurezza, Organizzazione.
Secondo i sindacati “narcotizzanti” non c’è problema: la società resterà nel gruppo, sarà controllata al 100% dalle banche del gruppo, servirà solo per garantire l’esenzione dell’Iva, tutti manterranno i vecchi contratti e le vecchie condizioni normative.
Tutto vero, oggi, ma domani?
Conosciamo già la risposta dei sindacati “responsabili”: chi può prevedere il futuro?
Noi non abbiamo la sfera di cristallo e non vogliamo neppure agitare fantasmi inutilmente, ma riteniamo che qualche dubbio vada sollevato.
La domanda più ovvia che viene in mente è: cosa succederà se dovesse cambiare la legislazione fiscale che oggi consente di mantenere il consorzio nel gruppo? La costituzione di una società effettuata attraverso vari rami d’azienda potrebbe, in futuro, rappresentare l’opportunità, o la tentazione, di liberarsi di lavori (e lavoratori) “a basso valore aggiunto” o di applicare loro contratti meno garantisti.
Tanto più che il processo di formazione dei vari back office non è stato molto piacevole: il personale è stato “deportato” dalle filiali, con un’elevata indifferenza rispetto alle esigenze ed ai problemi personali dei lavoratori, in spregio agli impegni presi con i sindacati “appisolati”. Ancora più strana è la riduzione degli organici delle filiali con il trasferimento nel consorzio anche di cassieri a fare lavori di retrosportello, creando così situazioni di panico per la scelta degli sfortunati. Ma non dovevano privilegiare la rete?
Singolare, come tempistica, la coincidenza della costituzione di un’unità organizzativa in Romania, con oltre 1000 dipendenti. Riguarderà, dicono, solo le partecipate dell’est Europa, né sono previste delocalizzazioni, però è noto a tutti che altri gruppi bancari (da Unicredito a Banca Sella) hanno spostato da quelle parti lavorazioni prima effettuate in Italia. In tempi di aiuti pubblici alle banche, oltretutto, tali comportamenti sono inaccettabili.
Come fidarsi, poi, di un’azienda che, a tutt'oggi, non ha smentito di voler cedere Banca Depositaria? Ricordiamo che, nel 2006, la Banca Depositaria del gruppo Unicredito (2S Banca) venne venduta alla francese Societé Generale, che dichiarò subito di voler licenziare un centinaio di dipendenti. Solo dopo vari scioperi e manifestazioni venne firmato un accordo-tampone che garantiva, per 5 anni, il rientro nel gruppo Unicredit in caso di tensioni occupazionali. Un’altra piccola coincidenza: all’epoca, a dirigere le Relazioni Sindacali di Unicredito, era lo stesso Vernieri che oggi è a capo di una direzione con funzioni analoghe nel gruppo Intesa Sanpaolo!
Non è un mistero per nessuno che i nostri dirigenti si siano distinti, in un passato non troppo lontano, per la gestione di aziende basata su tagli degli organici, spezzatini societari ed esternalizzazioni.
Detto tutto ciò, che fare?
Nelle assemblee e con le raccolte delle firme e' emersa chiara la volontà dei lavoratori di chiedere l'istituto del distacco, restando dipendenti della banca attuale. Noi siamo d'accordo e siamo disposti a sostenere fino in fondo questa richiesta, ma deve essere estremamente chiaro a tutti che percorrere questa strada sarà difficile. Tale proposta si scontrerà con l’assoluta contrarietà dell'Azienda e col fatto che i sindacati trattanti non porteranno mai al tavolo della trattativa questa richiesta.
Questa rivendicazione sarà possibile solo se i lavoratori saranno soggetti attivi della vertenza e saranno disponibili a portare avanti una lotta durissima, con molte ore di sciopero, che richiederà il coinvolgimento di tutti i colleghi. Saremo tra i pochi, se non gli unici, disponibili a dichiarare scioperi: se tutti i lavoratori coinvolti, consapevolmente, decideranno di andare avanti su questa strada, noi saremo pronti.
Tutto dipende da voi, contattateci, fateci sapere cosa pensate di questa vicenda, utilizzate il nostro sito e la nostra mail: sallca.cub@sallcacub.org
Questa vicenda ricorda molto da vicino quella delle filiali cedute a suo tempo. In presenza di cessioni vi sono due possibili strade da percorrere: una legale ed una sindacale. La prima è per sua natura incerta, perché deve dimostrare l’insussistenza dei requisiti per la cessione di ramo d’azienda. Per la cronaca, abbiamo avviato (come promesso) la causa pilota per tentare di far rientrare un collega ceduto.
Ma la strada maestra deve essere quella sindacale, attraverso il coinvolgimento di tutta la categoria. E’ necessario che tutti siano consapevoli della situazione. Ci è parso sbagliato l’atteggiamento di non pochi lavoratori in occasione della cessione delle filiali: prima tutti tremanti in attesa di sapere a chi poteva toccare, poi, una volta scampato il pericolo, un bel sospiro di sollievo, dimenticandosi del problema e dei colleghi colpiti. Il problema si ripresenta oggi: sono in fase di cessione le filiali nelle province di La Spezia e Pistoia, dopo la fusione con Carifirenze.
Ricordiamo che con la prima cessione degli sportelli (a Cariparma) se ne andarono circa 2.000 lavoratori, con la seconda altrettanti. Ora verso la società consortile si stimano uscite per 8400 lavoratori. Coloro i quali pensano di non essere coinvolti, a chi intendono chiedere solidarietà quando toccherà a loro?
Se l’ipotesi distacco non funzionerà, resterà solo la strada di un accordo molto garantista.
Se veramente l’azienda non ha intenzione di disfarsi dei lavoratori della società consortile, non vediamo difficoltà a concludere un accordo in questi termini. Nella stessa comunicazione aziendale ai sindacati “si precisa che in caso di qualsivoglia operazione societaria (conferimento, cessione, scorporo, ecc) il Personale rientrerà anche giuridicamente a far parte della cedente Intesa Sanpaolo”.
Dovrà essere un accordo “blindato” che garantisca il rientro nella banca, senza limiti di tempo, contro ogni probabile accadimento: cessione, chiusura di sedi, trasferimento della sede, cambiamento di quote, anche minime, di proprietà, crisi occupazionali ed ogni altra evenienza probabile. Il rientro deve essere tutelato rispetto alla mobilità territoriale. Deve essere prevista la possibilità di trasferimenti dal consorzio alle banche del gruppo (prevedendo quote percentuali minime annue di accoglimento delle richieste e trasparenza nelle liste di trasferimento). Per le nuove assunzioni devono essere previste le stesse norme delle banche del gruppo, per evitare doppi regimi contrattuali. Non dimentichiamo che il Contratto Nazionale, con le relative tutele sull’area contrattuale, scade il 31 dicembre 2010.
Ogni accordo dovrà essere sottoposto al giudizio vincolante dei lavoratori, con un referendum che veda il controllo anche delle forze eventualmente contrarie.
Anche questo punto non è scontato: recentissima è la sortita della Fabi, che ha esplicitamente escluso la possibilità di votare i rappresentanti dei lavoratori (Rsu) e che non ha suscitato nessuna critica, a parte la nostra. Evidentemente anche le altre sigle sono d’accordo e continueranno ad esserlo finché potranno contare su numerose tessere!
Questa vicenda riguarda tutti. Non cediamo alla rassegnazione. Insieme possiamo costruire l’alternativa e conquistare condizioni di lavoro più dignitose.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo