La trasformazione in senso federalista dello Stato nazionale, avviata con la revisione costituzionale del 2001, rischia di creare dei veri e propri mostri giuridici.
Il tormentone estivo è diventato l’ipotetica soppressione delle 110 Province su cui si sono scatenati stampa e politica ritenendo che, grazie alla eliminazione di questi enti, sia possibile generare significativi risparmi.
Il paradosso è che gli stessi partiti che oggi si prodigano a chiederne l’abolizione, sono gli stessi che alimentano la costituzione di nuove Province.
Senza contare che la proposta era già contenuta nel “piano di rinascita nazionale” della loggia P2 (che da solo basterebbe, a nostro giudizio, a guardare con sospetto ogni iniziativa al riguardo).
Entrando nel merito occorre però guardare con maggiore precisione a quella che è la ripartizione delle competenze tra i vari organi dell’amministrazione pubblica proprio a seguito della revisione costituzionale del 2001 e tenendo conto che per sopprimere le Province occorrerebbe una nuova legge costituzionale.
Infatti il meccanismo della “sussidiarietà rovesciata” che ci ha consegnato la riforma del 2001, fa sì che le competenze dei vari organi si mescolino e si accavallino in un intricato gioco di scatole cinesi che porta al solo risultato concreto di complicare la vita al cittadino-utente.
Le cosiddette “funzioni di area vasta”, cui dovrebbero presiedere le Province, sono, in realtà, disperse su vari livelli di governo (a cominciare dalle Regioni, alle Comunità Montane e alle previste Città Metropolitane), ed il nodo è proprio questo.
La gestione delle attività di competenza delle Province (strade, lavoro, formazione professionale, vigilanza ambientale, etc.) può essere soppressa?
USB pensa di no, ma al tempo stesso occorre definire con esattezza i compiti di ogni ente al fine di evitare duplicazioni o, peggio, di spostare l’esercizio delle funzioni della Pubblica Amministrazione verso organismi di diritto privato (società miste, multiutility e quant’altro).
La storia recente (dai trasferimenti di personale messi in atto a seguito delle cd. “riforme Bassanini” fino alle recenti soppressioni delle Direzioni Provinciali del Tesoro) dovrebbe mettere in allarme il personale delle Province che si troverebbe esposto a una mobilità forzosa e al rischio concreto di perdite salariali che farebbe il paio con il blocco contrattuale ormai consolidato fino al 2017!
Per questo USB è dell’avviso che sia possibile razionalizzare e far funzionare meglio ogni pezzo della Pubblica Amministrazione, senza però, per questo, distruggerne le funzioni.
Basterebbe ridurre le 318.000 consulenze in tutta la P.A., ridurre le spese della politica, riportare nel perimetro dello Stato i servizi pubblici che la deriva privatistica degli ultimi 20 anni ha esternalizzato (questa sola operazione basterebbe a ridurre i 24.000 componenti dei C.d.A. nei circa 7000 Enti Strumentali), per generare sostanziosi risparmi.
USB invita pertanto i 61.000 dipendenti delle Amministrazioni Provinciali a sostenere le nostre posizioni per una Amministrazione Pubblica che sia concretamente attenta ai bisogni dei cittadini e dei lavoratori, più che a quelli dei politici, a partire dalle iniziative del prossimo autunno.
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