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riduzione degli armamenti

Spese di guerra: 15 miliardi per l'acquisto di 131 cacciabombardieri F35. Una spesa militare che da sola vale più di metà della manovra di Monti.

Roma,

Pubblichiamo alcuni articoli apparsi sulla stampa del 3 dicembre riguardanti la manovra economica di Monti da 25 miliardi di euro e, in particolare, il tema delle spese militari e dell'incidenza sul bilancio dello Stato che il nuovo Governo non metterà in discussione poichè il Ministro della Difesa ne è il maggiore sostenitore.

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Tranquilli, al futuro ci pensa il nuovo F35.

di Manlio Dinucci

SPRECHI MILITARI - L'impegno dell'Italia nella produzione e nell'acquisto (ne ha ordinati 131 senza sapere quanto salato sarà il prezzo finale) dell'aereo Lockheed Martin. Un pozzo senza fondo.  

Un programma costosissimo, sostenuto da uno schieramento bipartisan, che il governo Monti non metterà in discussione visto che il ministro della Difesa ne è il maggiore sostenitore.

La crisi economica, documenta il Censis, ha colpito in Italia soprattutto i giovani, un milione dei quali ha perso il lavoro negli ultimi tre anni. Aumentano quindi le preoccupazioni per il futuro. Tranquilli, a loro e ai loro figli ci pensa la Lockheed Martin: «Proteggere le generazioni di domani - assicura nella sua pubblicità - significa impegnarsi per la quinta generazione di oggi».

Si riferisce all'F-35 Lightning II, «l'unico velivolo di quinta generazione in grado di garantire la sicurezza delle nuove generazioni». Sono stati dunque lungimiranti i governi che hanno deciso di far partecipare l'Italia alla realizzazione di questo caccia (prima denominato Joint Strike Fighter) della statunitense Lockheed Martin.

Con il sostegno di uno schieramento bipartisan, il primo memorandum d'intesa venne firmato al Pentagono nel 1998 dal governo D'Alema; il secondo, nel 2002, dal governo Berlusconi; il terzo, nel 2007, dal governo Prodi.

E nel 2009 è stato di nuovo un governo Berlusconi a deliberare l'acquisto di 131 caccia che, a onor del vero, era già stato deciso dal governo Prodi.

L'Italia partecipa al programma dell'F-35 come partner di secondo livello, contribuendo allo sviluppo e alla costruzione del caccia. Vi sono impegnate oltre venti industrie: Alenia Aeronautica, Galileo Avionica, Datamat e Otomelara di Finmeccanica e altre tra cui la Piaggio.

Negli stabilimenti Alenia verranno prodotte oltre mille ali dell'F-35. Presso l'aeroporto militare di Cameri (Novara) sarà realizzata una linea di assemblaggio e collaudo dei caccia per i paesi europei, che verrà poi trasformata in centro di manutenzione, revisione, riparazione e modifica.

A tale scopo sono stati stanziati oltre 600 milioni di euro, presentandolo come un grande affare per l'Italia. Ma non si dice quanto verranno a costare i pochi posti di lavoro creati in questa industria bellica.

Non si dice che, mentre i miliardi dei contratti per l'F-35 entreranno nelle casse di aziende private, i miliardi per l'acquisto dei caccia usciranno dalle casse pubbliche.

Per partecipare al programma, l'Italia si è impegnata a versare un miliardo di euro, cui si aggiungerà la spesa per l'acquisto dei 131 caccia. Allo stato attuale, essa può essere quantificata in circa 15 miliardi di euro.

Va inoltre considerato che l'aeronautica sta acquistando anche un centinaio di caccia Eurofighter Typhoon, costruiti da un consorzio europeo, il cui costo attuale è quantificabile in oltre 10 miliardi di euro.

E, come avviene per tutti i sistemi d'arma, l'F-35 verrà a costare più del previsto. Il prezzo dei primi caccia prodotti - documenta la Corte dei conti Usa - è risultato quasi il doppio rispetto a quello preventivato.

Il costo complessivo del programma, previsto in 382 miliardi di dollari per 2.443 caccia che saranno acquistati dagli Usa e da otto partner internazionali, sarà dunque molto più alto.

Perfino il senatore John McCain, noto «falco», ha definito «vergognoso» il fatto che il prezzo dei primi 28 aerei sfori di 800 milioni di dollari quello preventivato. Nessuno sa con esattezza quanto verrà a costare l'F-35.

La Lockheed aveva parlato di un prezzo medio di 65 milioni per aereo, al valore del dollaro 2010, ma poi è stato chiarito che il prezzo non comprendeva il motore né i costosissimi sistemi elettronici e all'infrarosso (come andare ad acquistare un'auto, scoprendo che nel prezzo non sono compresi il motore e la centralina elettronica).

L'Italia si è dunque impegnata ad acquistare 131 caccia F-35 senza sapere quale sarà il prezzo finale. Anche perché differisce a seconda delle varianti: a decollo/atterraggio convenzionale, per le portaerei, e a decollo corto/atterraggio verticale.

L'Italia ne acquisterà 69 della prima variante e 62 della terza, che saranno usati anche per la portaerei Cavour. E, una volta acquistati, dovrà pagare altri miliardi per ammodernarli con i sistemi che la Lockheed produrrà.  

Un pozzo senza fondo, che inghiottirà altro denaro pubblico, facendo crescere la spesa militare, già salita a 25 miliardi annui.

Non ci si può illudere che il governo Monti cambi rotta, sganciando l'Italia da questo costosissimo programma.

L'ammiraglio Di Paola, oggi ministro della difesa, è il maggiore sostenitore dell'F-35: fu lui, in veste di direttore nazionale degli armamenti, a firmare al Pentagono, il 24 giugno 2002, il memorandum d'intesa che impegnava l'Italia a partecipare al programma come partner di secondo livello.

E l'F-35 Lightning (Fulmine) - che, assicura la Lockeed, «come un fulmine colpisce il nemico con forza distruttiva e inaspettatamente» - è il sistema d'arma ideale per la strategia enunciata da Di Paola quando era capo di stato maggiore della difesa: trasformare le forze armate in uno «strumento proiettabile», dotato di spiccata capacità «expeditionary» coerente col «livello di ambizione nazionale».

Che l'F-35 garantirà insieme alla «sicurezza delle nuove generazioni».

 

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SPESE DI GUERRA, PARLIAMONE.

di Tommaso di Francesco

Eccoli i tagli vellutati: abolizione delle pensioni di anzianità, aumento dell'età lavorativa, blocco del recupero dell'inflazione, passaggio di tutti al contributivo.

Il tutto accompagnato dalle promesse di studiare un reddito minimo per i giovani disoccupati, di una patrimoniale ma «debole» e di «provare» a ridurre i privilegi della politica.  

Altro che tecnica. Si colpiscono come non mai il già risicato welfare e la condizione di vita dei lavoratori. Così, per un governo nato a surrogare l'incapacità dell'esecutivo reazionario di Berlusconi per salvarci dalla crisi economica, la tecnica surclassa a destra le precedenti incapacità politiche. 

E il ricatto del «o me o il baratro» (Marchionne docet) con la favola del «rigore con equità e per la crescita» rischiano di piegare ogni opposizione politica e sociale.

Tutto questo per il dichiarato obiettivo "neutrale" di trovare subito 25 miliardi di euro per «sanare i conti» e salvare, con l'Italia, l'Europa.

C'è un'alternativa? Sì, logica e pragmatica, per usare le parole del neoministro della difesa Giampaolo Di Paola, già ammiraglio e capo di stato maggiore della Nato, davanti alle commissioni congiunte di Camera e Senato, dove ha illustrato le linee guida del suo dicastero, incentrate sulla «dismissione del patrimonio immobiliare delle caserme».  

Di tagli e riduzioni alla spese militari manco a parlarne invece. Anzi, in modo bipartisan - pleonastico dirlo per un governo quasi monocratico - la commissione difesa del senato ha autorizzato Di Paola a spendere ben 502 milioni di euro in acquisto di sistemi d'arma, in particolare per proteggere i "nostri" soldati in Afghanistan.

In un'area di conflitto armato dove nessuno, nemmeno lo stato maggiore Usa, sa bene perché continuiamo a stare in armi.  

Ma questo è niente, perché il ministro Di Paola si è ben guardato dall'affrontare il tema caldo ereditato dal governo Berlusconi, che ahimè l'aveva ereditato dal governo di centrosinistra.

Vale a dire il nodo di bilancio dell'acquisto di 131 cacciabombardieri F35, per un valore totale di 15 miliardi di euro.

Senza dimenticare che l'aviazione militare sta acquistando un centinaio di caccia Eurofighter Typhoon, al costo di oltre 10 miliardi di euro. 25 miliardi, vi ricordano qualcosa? Si stracciano le vesti sul rigore e sull'equità.

Ma l'idea di tagliare le spese di guerra resta non praticata. Anche se a gestirla, in pieno conflitto d'interessi, è un ex capo di stato maggiore di un'alleanza militare che ha condizionato e condiziona i bilanci militari di tutti gli stati europei e di aziende private e pubbliche, come Finmeccanica, legate agli affari del mercato della guerra.

Eppure è sotto gli occhi di tutti, insieme al baratro della crisi del capitalismo, finanziario e non, il disordine mondiale prodotto dalle scelte di guerra dell'Occidente negli ultimi venti anni.

Certo, se si pensa che nei Balcani, in Medio Oriente, in Somalia, in Iraq, in Afghanistan, in Libia la strategia di morte dei nostri cacciabombardieri abbia contribuito a migliorare le sorti progressive del mondo, non 15 miliardi per altri attrezzi di morte ma centinaia e centinaia di miliardi debbono essere approntati e spesi, e nuove intraprese belliche devono essere tentate, magari subito in Iran.  

Suvvia, siamo pronti ai sacrifici.

Ma se, al contrario, si intravvede appena lo scenario provocato dalle guerre da noi supportate, fatto di lutti, terrore in andata e ritorno, disperazione, stragi di civili, tabula rasa dei diritti costituzionali e internazionali, nuove divisioni del mondo in sfere d'influenza e terre di conquista tardocoloniale per l'accaparramento di beni e fonti decisivi per il precipizio del nostro modello di sviluppo... se solo si percepisce tutto questo puzzo e brusio, allora bisogna dire basta.  

Tagliate il cacciabombardiere F35, cancellatelo dal bilancio possibile del governo Monti, tagliate la costruzione di nuove dieci navi da guerra per sostenere invece la cantieristica civile, tagliate le spese militari, ritirate i soldati dai conflitti in corso per rafforzare invece il Servizio civile che è stato azzerato.  

O i granai o gli arsenali. Se non ora quando?

 

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COSA SI POTREBBE FARE CON QUEI 15 MILIARDI.

Tanti asili nido e posti di lavoro per ogni cacciabombardiere di Giulio Marcon

L'ultimo regalo alla casta dei generali equivale al 75% della manovra annunciata per lunedì.

Con i 15 miliardi di euro che il governo italiano si è impegnato a spendere per i cacciabombardieri F35 si potrebbero mettere in sicurezza 14mila scuole (che non rispettano la legge 626, le normative antincendio e non hanno il certificato di idoneità statica) e in questo modo dare opportunità a centinaia di imprese e creare 30mila posti di lavoro.

Con i soldi di un solo (1) caccia bombardiere F35 (oltre 100 milioni di euro) si potrebbero creare 143 asili nido pubblici e in questo modo dare lavoro ad oltre 2150 educatrici e assistenti e fare contente oltre 5mila famiglie.

Si aumenterebbe il Pil, quello buono. Invece, con questi caccia bombardieri si fanno felici gli Stranamore nostrani (sono degli aerei d'attacco, buoni per sfondare le linee nemiche, adatti insomma per la guerra), i generali in Maserati extralusso (da 200 mila euro a esemplare) del ministero della Difesa, la Lockeed (sì, la stessa delle tangenti che segnarono la sorte di Gui e Tanassi negli anni '70) che è capofila dell'operazione e Finmeccanica, coinvolta in tanti loschi affari di armi e tangenti degli ultimi 30 anni.

Se il premier Monti vuole dare coerenza alla parola "rigore" così tanto usata in questi giorni, fermi questo spreco di soldi e blocchi il programma di produzione e di acquisizione dei caccia bombardieri F35: si tratta di 15 miliardi, cioè del 75% della manovra che si appresta a varare lunedì prossimo.

E se vuole «fare bene i compiti» metta le mani in quel dinosauro burocratico delle Forze Armate dove i comandanti (ufficiali e sottufficiali) sono più numerosi dei comandati (la truppa): riduca i generali (ne abbiamo più che negli Stati Uniti) e i colonnelli e non gli insegnanti, gli infermieri, le maestre. Perché il rigore vale sempre per i pensionati e il welfare e mai per i generali e le (inutili) commesse militari?

Perché si accetta supinamente la chiusura di un importante azienda della Fiat, come la Irisbus, che fa autobus (ne avremmo bisogno in Italia) e si spendono montagne di soldi per aprirne un'altra che monta carlinghe e mitraglie di un cacciabombardiere?

Nel Rapporto sulla spesa pubblica presentato la settimana scorsa, Sbilanciamoci ha fatto i conti: riducendo di 1/3 le nostre Forze Armate e tagliando, oltre gli F35, una serie di sistemi d'arma (dai sommergibili U-212 alle fregate Fremm) risparmieremmo da subito oltre 4 miliardi di euro che utilmente potrebbero essere spesi -ad esempio- per garantire gli ammortizzatori sociali -al pari dei lavoratori a tempo indeterminato- a tutti i lavoratori parasubordinati che perdono il posto di lavoro.

E agli amici del sindacato -della Fiom, della Fim, della Uilm- diciamo che ogni soldo investito nell'industria militare crea mediamente un terzo di posti di lavoro in meno di un soldo investito nell'economia civile.

Non si facciano illudere (e fregare) dal management di Alenia & companies.

Ma naturalmente bisogna riconvertire e difendere i posti di lavoro: dobbiamo trasformare gli impianti che producono carri armati e mortai in luoghi dove ad esempio si producono pannelli fotovoltaici - che per il 90% importiamo dalla Germania, dalla Cina e da altri paesi - o strumenti di precisione (ottica, laser, ecc) in campo sanitario.

E magari invece di fare F35 si possono fare Canadair per spegnere gli incendi. C'è una campagna per fermare gli F35 e ci si può mobilitare con azioni concrete (www.sbilanciamoci.org).

Il governo Monti -invece di essere prigionero della lobby affaristica (e tangentizia) militar-industriale- traduca il rigore della spesa pubblica anche nella spesa militare.

Si può adempiere agli obblighi nazionali ("difesa della patria") e a quelli internazionali (gli interventi di pace, non la missione di guerra in Afghanistan) spendendo molti meno soldi, anche se dando qualche dispiacere alla casta militare e un colpo ai privilegi di una corporazione molto sprecona.

E d'altronde Monti non ha detto che uno dei guai dell'Italia è proprio l'esistenza di queste tante corporazioni e sacche di privilegio che guardano più al loro "particulare" che all'interesse generale?

Vale anche per le Forze Armate.