Carichi e ritmi di lavoro, orario e turni, percorsi di carriera e perfino i conflitti con i colleghi. Sono alcuni dei fattori di stress che dovranno essere valutati in ogni luogo di lavoro, pubblico e privato, piccolo o grande che sia, per mettere in atto, dove sia necessario, misure per eliminare o ridurre al massimo lo stress. Questo prevede la circolare firmata giovedì dal ministero del Lavoro in attuazione del Testo unico sulla salute e la sicurezza nel lavoro. Come poi il «percorso» indicato nel documento verrà concretamente applicato è tutto da vedere, anche se è facile prevedere che su una materia così sensibile e comunque discrezionale potrebbero nascere non pochi conflitti tra aziende e lavoratori. La circolare è un atto dovuto, perché sia le normative europee sia quelle nazionali affermano, come spiega una nota del ministero guidato da Maurizio Sacconi, che «la valutazione dei rischi da lavoro deve comprendere tutti i rischi per la salute e la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori». Non solo, quindi, i fattori tradizionali, come, per esempio, l’uso di sostanze nocive o di macchinari pericolosi, ma anche i «rischi di tipo immateriale, tra i quali, espressamente, quelli che riguardano lo stress lavoro-correlato».
IL PERCORSO - Per stabilire il metodo col quale individuare questa categoria di rischi una commissione di esperti del governo, delle Regioni e delle parti sociali ha definito un percorso, «che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo» al quale dovranno attenersi «tutti i datori di lavoro». Per prima cosa, dice la circolare, bisogna definire che cosa è lo «stress lavoro-correlato», seguendo l’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004: esso è la «condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro». Tuttavia, avverte il ministero forse consapevole dell’ampiezza di questa definizione, lo stress da considerare è solo quello causato da «fattori propri del contesto e del contenuto del lavoro». Non bisogna insomma far confusione con motivi personali o familiari di stress.
VALUTAZIONE SU GRUPPI IN DUE FASI - Anche per questo, dice la circolare, la valutazione va fatta su «gruppi di lavoratori esposti in maniera omogenea allo stress» e non sul singolo. Da chi? Come per tutti gli altri fattori di rischio, dal datore di lavoro «avvalendosi del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione con il coinvolgimento del medico competente, ove nominato, e previa consultazione del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza». La valutazione avviene in due fasi. La prima obbligatoria tesa a rilevare «indicatori oggettivi e verificabili» di vario tipo: dall’indice di infortuni alle «specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori», dai turni ai «conflitti interpersonali al lavoro», dalla corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e ciò che viene richiesto loro all’«evoluzione e sviluppo di carriera». Se non emergono elementi di rischio, il datore di lavoro dovrà solo darne conto nel Documento di valutazione del rischio e prevedere un piano di monitoraggio. Se invece risultano fattori di stress, si passa alla fase due: prima l’adozione di «opportuni interventi correttivi» e poi, se la situazione non migliora, alla «valutazione approfondita», anche attraverso «questionari, focus group e interviste semi-strutturate». Solo nelle imprese che occupano «fino a 5 lavoratori» la procedura può essere più semplice, per esempio «riunioni» tra datore di lavoro e dipendenti. Le procedure definite nella circolare partono dal prossimo 31 dicembre.
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