Venerdì 25 febbraio 2022 si è svolto il presidio per la nazionalizzazione di TIM organizzato da USB, Cobas e Snater Lazio davanti alla Cassa Depositi e Prestiti, ai cui dirigenti avevamo anche chiesto un incontro che si sono guardati bene dall’accettare. Avremmo ribadito in quella sede la nostra richiesta, ormai più che decennale: il Governo deve farsi carico di garantire gli attuali perimetri aziendali e di gruppo sia per evitare processi di societarizzazione di attività oggi ricomprese all’interno dell’azienda, che per realizzare, senza perdere altro tempo, una rete unica Open Fiber-TIM, al fine di garantire l’occupazione interna e dell’indotto, oltre che lo sviluppo tecnologico del Paese.
Va trovata una soluzione sul dossier rete unica: l’Italia non può più permettersi, men che meno in questo momento di crisi internazionale, una situazione di instabilità ed eventuali riassetti in seno ad un’azienda che seppur privata è di fatto un’azienda “nazionale”.
Occorre anche ricordare che intorno a TIM, una delle ultime grandi aziende nazionali, non esistono solo interessi economici, ma soprattutto di tipo geopolitico e di sicurezza nazionale.
È abbastanza ovvio come nel quadro del risiko delle telecomunicazioni, non solo europee, TIM nonostante il suo debito risulti appetibile e strategica a livello internazionale anche in contesti di competizione economica e militare, tipo cyberspionaggio, cyberwar e cybercontrol, con finalità geopolitiche, di gestione degli stati o di tipo industriale.
Nonostante tutto, anche se fin dalla sua privatizzazione TIM è stata abbandonata al suo destino come facile preda indifesa, ed è stata letteralmente massacrata, essa possiede ancora una posizione rilevante nel mercato europeo delle TLC e avrebbe tutte le potenzialità tecnologiche necessarie per portare avanti la digitalizzazione del Paese senza sacrificare le aree a fallimento di mercato. Per questo motivo l’unica strada possibile è la nazionalizzazione e il controllo pubblico, sottraendo un’azienda strategica alle logiche speculative finanziarie di turno.
L’ultima offerta del fondo americano KKR per l’acquisto del gruppo TIM rischia invece di chiudere per sempre il cerchio del massacro iniziato con la privatizzazione peggiore mai avvenuta.
E in tutti questi anni, più di un ventennio, i governi italiani si sono limitati ad assistere, con posizioni discutibili, ai continui cambi societari dei grandi interessi economici speculativi che man mano si sono succeduti, senza anteporre mai un doveroso ruolo di governance e, se necessario, di censore per garantire il futuro di Telecom/TIM.
Ribadiamo ancora una volta che in nessun paese europeo esiste un’industria o un settore strategico che abbia vissuto le peripezie e le stranezze societarie del gruppo TIM, per questo l’intervento dello Stato attraverso Cassa Depositi e Prestiti è fondamentale, chiarendo una volta per tutte il suo ruolo nella partita.
Il punto resta dunque il ruolo che il Governo Draghi intenderà svolgere, a dispetto delle flebili dichiarazioni fin qui fatte anche da parte dal Ministero dello Sviluppo Economico.
Per Draghi questa forse potrebbe essere l’occasione per riparare alla sua partecipazione, in un ruolo esecutivo, alla dissennata privatizzazione della Telecom del 1997.
Unione Sindacale di Base - Telecomunicazioni