L’Unione Sindacale di Base è fortemente preoccupata per l’annunciata fusione tra FCA e il gruppo Renault–Nissan. In ballo c'è un pezzo importante del tessuto industriale del paese che rischia di pesare sul futuro non solo del settore automotive. Intorno agli stabilimenti FCA nei decenni si sono sviluppate le economie di molti territori, nonostante la politica di tagli drastici e delocalizzazioni della famiglia Agnelli che ha visto chiudere gli stabilimenti di Termini Imerese, Chivasso, Rivalta, Arese e condannare al limbo gli stabilimenti di Mirafiori, Cassino e Pomigliano.
Scelte pagate con il durissimo prezzo di licenziamenti e tagli dei salari, mentre Fiat prima e FCA ora continuano a distribuire dividendi agli azionisti, nonostante si tratti di un’azienda che è stata ed è sostenuta dalla collettività, attraverso fondi, politiche di sistema sui trasporti, cui è sempre stato concesso l’utilizzo degli ammortizzatori sociali come fossero un bancomat e che ha deciso di eleggere domicilio fiscale all’estero con gravi perdite per la fiscalità generale.
Nel corso degli ultimi anni abbiamo sentito annunciare svariati piani industriali, prima da Marchionne e poi da Manley ed Elkann, per poi dover constatare che non c'era e non c’è alcun piano di rilancio. Al contrario, la famiglia Agnelli persegue unicamente lo scopo di fare cassa: è stato così con Chrysler e con la vendita di Magneti Marelli, cui si sommano ora le voci su COMAU e CNHI.
Fino alla fusione con Renault-Nissan, che al di là delle scontatissime rassicurazioni rappresenta l’identica filosofia del profitto a ogni costo, quella che ha guidato le delocalizzazioni ad esempio in Polonia e in Serbia, e che non ha salvato i lavoratori degli stabilimenti di Tychy, Bursa e Kragujevac da condizioni di lavoro durissime. La fuoriuscita dal CCNL dei metalmeccanici imposta da Marchionne ha peggiorato la situazione già grave rispetto ai diritti sindacali in capo a ogni singolo lavoratore. È aumentato l’arbitrio padronale, favorendo la crescita di un sindacalismo subalterno, gestore di un modello contrattuale (CCSL) che prevede il rispetto della metrica di produzione padronale (WCM- Ergo UAS) con la saturazione del 95% dei ritmi sulle linee e che con il taglio delle pause ha visto un incremento di 6 giorni lavorabili senza alcun aumento di salario e contro il quale come USB scioperiamo in maniera sistematica.
Stessa logica per l’indotto cui FCA ha appaltato parti di lavorazione ritenute non strategiche, ma da realizzare con tempi e costi competitivi. Per “ottimizzare” i costi, tutti i lavoratori del Gruppo FCA, da Melfi a Torino passando per Termoli, compreso l’indotto, sono chiamati a sostenere ritmi di lavoro esasperati al fine di saturare le linee produttive in funzione degli ordini, per poi essere messi in CIGO o CDS. Questo comporta una perdita di salario cui si aggiunge lo stress sul fisico di uomini e donne ben testimoniato dall'aumento degli operai con ridotte capacità di lavoro. Anche nell'indotto FCA dalla Tiberina la situazione è molto seria, se non drammatica come per la Bluetec, dove la lotta dei lavoratori ha smascherato la proprietà e chiede da qualche tempo un intervento risolutivo da parte del governo. Alla GKN, altra azienda dell’indotto, i lavoratori sono anche loro in lotta in difesa dell’occupazione.
Non crediamo alle rassicurazioni fornite dalla famiglia Agnelli e dall’ad Manley. I lavoratori FCA e del settore hanno il pieno diritto di avere garanzie occupazionali: lo chiediamo al Governo cui abbiamo inviato la richiesta d’incontro urgente e lo diciamo ai protagonisti di questa ennesima operazione finanziaria.
USB Lavoro Privato Nazionale
Coordinamento Nazionale lavoratori USB in FCA-CNHI