Un attacco insidioso allo Statuto dei lavoratori
Approfittando dell’assenza di mobilitazioni da parte del movimento sindacale confederale, che in gran parte è apertamente complice del governo (Cisl, Uil, Ugl), mentre la CGIL – in larga misura responsabile per essere arrivati a questo punto – è, soprattutto, impegnata nel distruggere la minoranza interna nel suo congresso, è passato al Senato, in via definitiva, dopo due anni di discussioni avvenute nell’assordante silenzio dei media, un Disegno di Legge micidiale, il 1167 -B, che cancella di fatto la possibilità per i lavoratori di ricorrere al giudice del lavoro.
Va detto che i presentatori della nuova legge, tra cu l’ineffabile Alfano, l’hanno fatta proprio grossa: a protestare - quando però i buoi sono da tempo fuggiti dalle stalle - sono in tanti, compresi alcuni esponenti dell’opposizione come Tiziano Treu, che quando era al governo aveva regalato al padronato il famoso “Pacchetto Treu” con cui si sono istituzionalizzate la precarietà e la mobilità senza protezioni.
Ricordiamo fino alla nausea che nell’ ormai lontano 1997, mentre per l’appunto veniva varato il “Pacchetto Treu” e si spalancavano i portoni al collocamento privato, 6500 dipendenti del Ministero del Lavoro venivano obbligati per decreto al trasferimento presso le Regioni e gli Enti Locali e a nessuno degli illuminati giuslavoristi, ministri, sindacalisti (a parte il sindacalismo di base) di ieri e purtroppo anche di oggi, è venuto in mente di adoperarsi perché venisse utilizzato almeno una parte di questo personale per velocizzare, per esempio, le vertenze di lavoro presso le Direzioni Provinciali del Lavoro e, men che meno, per potenziare gli Ispettorati del lavoro. Certamente è stato ritenuto più utile impegnare migliaia di ex dipendenti del Ministero del Lavoro nella competizione, ardua molto ardua, tra Centri per l’Impiego e agenzie private/ interinali/ di somministrazione e quant ’altro passa il convento.
Come abbiamo scritto e detto più volte, in desolante solitudine, oggi l’obiettivo è quello di eliminare definitivamente il conflitto sui posti di lavoro, usando argomenti come la cronica lentezza dei nostri Uffici (eliminazione del tentativo obbligatorio di conciliazione) e dei tribunali. Tenuto conto del fatto che in Italia c’è la classe imprenditoriale più delinquenziale d’Europa (lo dicono le cifre dell’evasione fiscale e contributiva, i dati sul lavoro nero, quelli su gli infortuni causati dal mancato rispetto generalizzato delle più elementari norme sulla sicurezza, nonché dalle più fantasiose forme di sfruttamento messe in atto da tanti padroni e padroncini ecc.), si capisce bene quale sarà l’impatto sociale di tale nuova legge. Naturalmente i relatori lo negano: in base all’eterna menzogna sulla “libera scelta” del lavoratore assicurano che non ci sarà nulla di vincolante. Ognuno dovrà e potrà “scegliere”, al momento dell’assunzione, se firmare una clausola del contratto individuale che esclude il ricorso in tribunale optando per un “arbitrato”. Non ci vuole molto per capire che la scelta dell’arbitro sarà fatta dal più forte, il padrone, che ha risorse e legali a disposizione, mentre il singolo lavoratore non potrà che accettare, come al momento dell’assunzione non ha potuto sostenere di preferire di ricorrere a un giudice (non è certo una buona credenziale presso il padrone dirsi disposto a difendere i propri diritti anche per via legale…).
Il relatore alla Camera sulla 1167B, Giuliano Cazzola (a suo tempo segretario nazionale della FIOM, segretario generale della CGIL dell’Emilia Romagna, poi dei chimici, oggi di Forza Italia), ha impudentemente detto che “bisogna smetterla di considerare i lavoratori come incapaci di scegliere responsabilmente e consapevolmente tra un percorso giudiziale e uno stragiudiziale”, come l’arbitrato…
Certo, non sono incapaci, ma non sono liberi!
Per giunta già la magistratura non gode sempre di una buona fama: le sentenze favorevoli ai lavoratori sono sempre di meno.
Ma se la fiducia nelle cause del lavoro non è molta, non c’è dubbio che fidarsi di un arbitro è ancora peggio: gli “arbitri” (anche senza ricorrere alla definizione popolare che li vuole “cornuti”, in quanto ritenuti istituzionalmente “comprati” dalla squadra avversa…) sono insindacabili: si può ricorrere e impugnarne una decisione solo nel caso di un clamoroso vizio procedurale. Sarà difficile che ci sia: non avendo troppe preoccupazioni di indagare sulla sostanza del caso, l’arbitro potrà dedicarsi attentamente a curare la forma, giudicando “secondo equità”.
Quale “equità”? Che vuol dire? Che strumento c’è per misurarla? Se ne preoccupa perfino Treu…
“Secondo equità”, dice crudamente l’appello presentato mesi fa dai giuristi contrari alla legge, significa: “senza il doveroso rispetto di leggi e contratti collettivi”.
Comunque l’art. 32 prevede che, anche nel caso di intervento di “controllo giudiziale” questo deve essere “limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente”. E lo stesso articola fissa limiti di tempo per il ricorso che lo rendono più difficile, mentre il comma 6 prevede che “dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli adempimenti previsti dal presente articolo sono svolti nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”.
Che vuol dire? Che non ci sarà nessuna protezione per il lavoratore durante la causa, che può costargli assai cara: nella legge finanziaria 2010 infatti è stata prevista una vera e propria «gabella» per il caso in cui il lavoratore voglia far valere i propri diritti davanti alla Corte di Cassazione (un contributo che potrà raggiungere i 500 euro).
In pratica questa legge aggira ipocritamente lo Statuto dei Lavoratori, privando questi ultimi della possibilità (che pure aveva spesso esito incerto) di ricorrere al giudice del lavoro. L’obiettivo è quello di lasciare il lavoratore ancora più solo nella «libera» dinamica dei rapporti di forza con il datore di lavoro, cui viene attribuita la facoltà di deroghe peggiorative rispetto a leggi e contratti collettivi.
Ma se è comunque positiva la protesta dei giuristi come Luciano Gallino di cui abbiamo pubblicato per intero un articolo in un nostro precedente comunicato (a cui si è unito oltre a Treu anche un altro ex ministro responsabile di tanti attacchi ai lavoratori, Cesare Damiano), non ci si poteva certo aspettare che fosse sufficiente. Ed oggi, a ”babbo morto” se la Cisl, come è naturale per un sindacato filo padronale, si limita ad aspettare “paletti di garanzia per l’esercizio dell’arbitrato”, la CGIL descrive la logica insidiosa della legge, ma si ferma a questo.
Non c’è stata prima e non c’è ora traccia di mobilitazione, di una campagna di informazione almeno. Niente. Ci si limita a piangere sulle difficoltà a rispondere a un attacco così insidioso: “nel 2002 l’attacco all’art. 18 fu diretto, ed era semplice spiegarlo ai lavoratori”, ora è più difficile. Ma ci si prova almeno? Eppure solo una campagna sistematica di informazione poteva ostacolare l’approvazione di una legge così infame, che è rimbalzata più volte tra Camera e Senato, con cambiamenti continui. E oggi può almeno aiutare i lavoratori a capire perché devono, nel loro interesse, rifiutare di firmare contratti individuali con clausole che accettino la tagliola dell’arbitrato.
Infine, visto che un altro importante pezzo delle funzioni del Ministero del Lavoro sta per prendere il largo, è bene che tutti noi cominciamo a chiederci: che fine faremo? Sarebbe anche bene cominciare a pretendere delle risposte dall’ amministrazione. E in modo risoluto.
Roma, 5 marzo 2010
RdB/CUB P.I. Coordinamento Nazionale Lavoro e Politiche Sociali