Il progetto, neanche tanto nascosto, della legge 107 era la frantumazione della categoria dei lavoratori della scuola, attraverso una serie di provvedimenti che li mettesse gli uni contro gli altri per accaparrarsi con il bonus premiale le briciole del maltolto alla scuola e, con la chiamata diretta e l'organico dell'autonomia, i favori dei nuovi presidi-manager. E’ un progetto che viene da lontano e che ha trovato, prima di oggi, la sua espressione più compiuta nel cosiddetto “concorsaccio” di Berlinguer e che, più indietro e più in generale, affonda le sue radici nelle politiche di attacco al mondo del lavoro degli anni ’80. Com’è noto il piano di Berlinguer fallì sia per le diffuse proteste dei lavoratori, sia perché il centro-sinistra perse le elezioni amministrative del 2000 nelle quali l’allora Presidente del Consiglio D’Alema si era impegnato in prima persona; il governo cadde e con esso Berlinguer e il suo concorsaccio.
Appena presentata, la 107 ha subito spinto alla mobilitazione in maniera compatta un enorme numero di lavoratori della scuola che in lungo e largo per l’Italia si sono incontrati, si sono riuniti, hanno discusso e criticato l’inaccettabile progetto della Buona scuola, in molti casi in anticipo – quando non addirittura in contrasto – rispetto ai sindacati di appartenenza, e hanno partecipato in massa allo sciopero del 24 Aprile indetto da USB e altre realtà del sindacalismo di base. Finché non arriva il 5 maggio, quando i sindacati firmatari complici convocano - pressati dalla base dei loro stessi iscritti e dall’intraprendenza dei sindacati di base - uno sciopero che, con ogni probabilità, ha rappresentato il punto più alto di partecipazione dei lavoratori della scuola e, paradossalmente, l’inizio del declino della protesta. I sindacati complici si sono dimostrati incapaci (nella migliore delle ipotesi) di dare uno sbocco politico alla mobilitazione del 5 maggio, vanificando gli sforzi e le lotte di migliaia di lavoratori; il peso della delusione dei lavoratori della scuola grava tutto sulle spalle dei sindacati gialli, che hanno illuso i lavoratori e di chi nel sindacalismo di base, in nome di una malintesa idea di unità, si è schierato il 5 maggio al fianco dei sindacati complici non partecipando allo sciopero del 24 Aprile. A tutto ciò si è aggiunta di recente l’ennesima delusione legata al fallimento nella raccolta delle firme per il referendum contro la legge 107.
Non è stato facile per noi organizzare, in questo quadro di attacco profondo ai lavoratori della scuola ma anche di ripiegamento silenzioso dei docenti e del personale ATA, lo sciopero generale del 21 ottobre e la manifestazione del 22 ottobre, primi decisi passi verso la ricomposizione dell’unità di classe tra i lavoratori della scuola e tutti gli altri lavoratori pubblici e privati. Ma abbiamo vinto! L'USB è ormai un soggetto sindacale confederale e di massa, capace in breve tempo anche nella scuola di crescere e lottare, sempre più riconosciuto e riconoscibile dai lavoratori. L'incontro strappato al MIUR l'8 Novembre, come conseguenza del 21 ottobre, testimonia la forza di un sindacato che con le mobilitazioni di agosto e settembre tra piazze e provveditorati, con le partecipate assemblee territoriali di ottobre, ha marcato una distanza netta con il sindacato collaborazionista che ha accettato la legge 107 e con il sindacato conflittuale "depresso" che non crede più nello sciopero, in tutte le sue forme, e condanna la categoria al silenzio connivente.
La prossima sfida che abbiamo davanti è il referendum contro le modifiche della Costituzione antifascista. Sappiamo bene che la vittoria del NO non cambierà nella sostanza il quadro politico generale, ma è di tutta evidenza che l’eventuale caduta del governo Renzi, potrà arrestare la corsa della legge 107, così come la caduta del governo D’Alema causò il blocco del concorsaccio; perciò riteniamo che non si renda un buon servizio ai lavoratori sostenendo, come fa qualcuno, che l’esito del referendum non cambierà il futuro della legge 107, demotivando e spuntando ancora di più le armi di un’intera categoria.
Noi continuiamo a credere, e di ciò cercheremo di convincere fino all’ultimo i lavoratori, che respingere le modifiche costituzionali, votando NO al referendum, sia una delle strade possibili per fermare la Buona scuola.
Perché "il futuro non è scritto", come si diceva qualche anno fa.