Da un recente articolo del Messaggero, emerge l’intenzione del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi di dare avvio a un processo di revisione e rafforzamento del Sistema nazionale di valutazione delle istituzioni scolastiche. Non solo più ispettori ministeriali, ma anche un rafforzamento dei comitati di valutazione delle singole scuole, che con gli strumenti dell’Invalsi andrebbero a valutare le attività interne all’istituto.
L’obiettivo sarebbe migliorare l’offerta formativa per gli alunni, andando a individuare le carenze nelle attività scolastiche. La valutazione dei docenti, a quanto pare, non andrà in questo momento a incidere su carriere e stipendi. Fonti del Ministero dell’Istruzione precisano che non si starebbe lavorando a voti o pagelle per dirigenti e insegnanti, ma come previsto dall’atto di indirizzo politico per il 2022, alla valorizzazione e alla formazione del personale e al miglioramento della valutazione del sistema scolastico nel suo complesso, per garantire una sempre maggiore qualità dell’offerta formativa proposta a studentesse e studenti.
Crediamo sia il caso di smascherare la retorica del ministro. Dietro le sue parole c’è un programma molto chiaro, contro il quale abbiamo già scioperato l’11 di ottobre e continueremo a lottare. Il modello di valutazione e di formazione che si intende realizzare è contrario ai principi nei quali crediamo. Vogliamo innanzitutto dire al ministro che non ci preoccupa tanto la valutazione del nostro lavoro. Non occorre pertanto che si affretti a precisare come il suo programma non abbia intenti punitivi. Ci mancherebbe altro! Siamo lavoratrici e lavoratori formati dallo Stato che offrono un’attività spesso difficile a causa delle politiche liberiste in materia di istruzione, basate su tagli e disinvestimenti. Siamo preoccupati, al contrario, perché dietro le sue parole vediamo chiaramente l’intenzione di proseguire sulla scia di tali politiche.
Valutare, per il ministro, significa piegare il lavoro dei docenti a un modello di scuola asservito alla filiera produttiva, con tutte le nefaste conseguenze sulla formazione degli alunni che sono già sotto i nostri occhi. L’Invalsi è un istituto privato, da anni usato dallo Stato per trasformare in un senso altrettanto privatistico la scuola pubblica statale e il modello pedagogico a essa sotteso.
Formare per il ministro significa imporre un modello di insegnante il cui lavoro non è più rivolto alla costruzione di coscienze critiche, ma alla formazione dei futuri lavoratori precari. Il PCTO è l'emblema di questo modello: addestrare gli studenti mediante una didattica delle competenze, tutta indirizzata all'acquisizione di un saper fare vuoto, acritico e funzionale al mercato del lavoro. Il ministro calpesta il diritto alla libera formazione dei docenti, sancito, oltre che dalla Costituzione sulla quale ha giurato, anche dal CCNL in vigore, e ritiene di poter imporre un tipo di formazione centralizzata e omologante, oltre che finalizzata in alcuni casi a una sorta di responsabilizzazione coercitiva scaricata tutta sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori, come è il caso del DM 188/21, che impone una formazione di 25 ore per quei docenti che lavorino in classi con alunni con disabilità. Ricordiamo a tal proposito come non si possano aumentare carichi e tempi di lavoro senza una modifica del contratto nazionale. Le 25 ore relative al corso sull’inclusione, quindi, devono rientrare nelle attività funzionali all’insegnamento (40+40 ore, secondo l’art. 29 del CCNL) e non possono in alcun modo costituire un ulteriore aggravio di lavoro per i docenti, la cui attività è diventata sempre più burocratizzata.
Riteniamo che anziché blaterare sul miglioramento dell’offerta formativa mediante interventi sulla formazione e la valutazione del personale scolastico, il ministro dovrebbe proporre e pretendere un serio e rilevante investimento economico sulla scuola pubblica statale. Occorre in primo luogo un aumento consistente degli organici, vale a dire più assunzioni con concorsi che assumano in ruolo tutti i docenti che hanno maturato tre anni di servizio, tutti i docenti già abilitati o specializzati, oltre che più assunzioni di collaboratori scolastici, assistenti amministrativi e assistenti tecnici, perché la scuola richiede anche un lavoro materiale, ancora oggi difficile per la carenza di lavoratori. Occorre inoltre un’operazione di riqualificazione o ristrutturazione delle strutture che ospitano le istituzioni scolastiche, perché in moltissimi casi non sono adeguate alla realizzazione di un lavoro didattico degno di questo nome. Occorrono investimenti immediati sulla sicurezza, per l’acquisto di dispositivi adeguati, il tracciamento dei contagi, il distanziamento. Occorre avviare le operazioni per il rinnovo contrattuale, per adeguare i salari all’aumento del costo della vita, per riconoscere ai precari una parità totale di condizione economica e giuridica con i lavoratori a tempo indeterminato, perché è inaccettabile che a parità di doveri non corrispondano gli stessi diritti (ferie, malattia, permessi, salari).
Fatto tutto questo, riteniamo che alla fine al ministro rimarrà poco tempo per la retorica e la demagogia che stanno caratterizzando il suo operato.
USB Scuola
25/10/2021