In silenzio e senza dare nell’occhio, oggi confindustria e sindacati complici si incontrano per avviare la discussione sulla rappresentanza sindacale, quella parte dell’accordo sulla produttività che non era stata compiutamente definita e che si doveva affrontare entro dicembre 2012.
A questa definizione si punta per normalizzare definitivamente il panorama sindacale e mettere le braghe ad ogni possibile dissenso nelle aziende. Da molti anni si discute dell’esigenza di dare maggiore certezza alle relazioni industriali nel settore privato nella scia di quanto definito per il pubblico impiego.
Ora che la vicenda Fiat, l’arroganza di Marchionne e la vendetta di Cisl e Uil hanno prodotto l’espulsione del la Fiom dalle relazioni industriali praticamente in tutto il settore metalmeccanico, su pressione della Camusso, che deve ricompensare la fine delle ostilità interne da parte della Fiom e dell’area Rinaldini, ci si affretta a mettere mano alla “vexata quaestio” della rappresentanza per ridisegnare i confini delle relazioni sindacali e riportare tutto nell’ambito della “normalità”.
Prima di tutto l’accordo sulla produttività conferma quanto già previsto nell’accordo del 28 giugno 2011 e cioè che sia l’INPS a raccogliere dalle aziende le notizie in ordine agli aderenti alle varie organizzazioni sindacali, che sia il CNEL a certificarne la rappresentanza verificando il superamento della soglia media del 5% tra voti ed iscritti. Una prima nota curiosa va espressa proprio su questa parte dell’accordo: può un accordo endo-sindacale attribuire compiti, per di più impropri, ad un Ente previdenziale e ad un organismo costituzionale qual è il Cnel che hanno precisi compiti stabiliti dalle leggi che ne regolano il funzionamento? Non dovrebbe essere una legge a stabilire chi e cosa debba fare in materia?
Ma anche se intervenisse una legge in tal senso, cosa invieranno le aziende all’INPS per certificare la presenza nelle loro imprese di aderenti alle varie organizzazioni sindacali? Pur a volersi fidare dei padroni, è certo che questi invieranno all’INPS solo le notizie riguardanti le organizzazioni sindacali firmatarie di contratto a cui è consentito avere la ritenuta della quota sindacale in busta paga. Nulla verrebbe comunicato in ordine alle adesioni a quelle organizzazioni sindacali che, pur presenti in azienda, non beneficiassero di tale agevolazione (il diritto per tutte le OO.SS. a fruire delle ritenute sindacali operate in busta paga dall’azienda è stato cancellato dal referendum del ’95 e poi reintrodotto pattiziamente per le sole OO.SS. firmatarie di contratto).
Sparirebbero quindi dal novero delle organizzazioni sindacali quelle che, come la USB, non essendo firmatarie di CCNL, sono costrette ad utilizzare le cessioni di credito o i versamenti tramite rid per la riscossione delle quote dei propri aderenti.
Ma gli accordi citati non prevedono solo le procedure di individuazione delle organizzazioni rappresentative, ma anche l’individuazione delle norme che devono sovraintendere all’esercizio delle prerogative sindacali in azienda. C’è da aspettarsi un disastro. Se dobbiamo prendere a modello il recente accordo sulle relazioni sindacali nel settore dell’igiene ambientale, c’è da mettersi le mani nei capelli. Dittatura della maggioranza delle RSU, divieto di sciopero sugli accordi aziendali stipulati anche per chi non li abbia sottoscritti, obbligo per tutte le organizzazioni sindacali, per poter partecipare alle RSU, di accettazione di tutti gli accordi interconfederali vigenti, del CCNL, degli accordi aziendali e territoriali, della regolamentazione antisciopero ecc.
Il tentativo evidente è quello della normalizzazione. Non è la prima volta che ci provano. E’ necessario organizzare da subito il contrattacco e la denuncia di queste palesi pratiche antidemocratiche che intendono scrivere la parola fine al conflitto e al pluralismo.
Non c’è un attimo da perdere, abbiamo atteso anche troppo!