Icona Facebook Icona Twitter Icona Instagram Icona Telegram Icona Youtube Icona Rss

RASSEGNA STAMPA

CASO POLVERINI. All'origine delle sue 27mila preferenze di Paolo Berdini

Roma,

Nel cattivo governo delle città e nella mala urbanistica, le radici della malapolitica. il manifesto, 25 settembre 2012 (m.p.g.) Data di pubblicazione: 25.09.2012 Autore: Berdini, Paolo

Lo scandalo della regione Lazio non può essere derubricato all’ennesimo caso di ruberie guidate da un comodo mariolo. E’ anche questo, ma il motore vero che provoca l’ascesa dei tanti Franco Fiorito sta nell’assenza di regole cui sono state abbandonate le città. Egli inizia infatti il suo percorso come sindaco di Anagni e trae evidentemente profitto (27 mila voti di preferenza alle recenti elezioni regionali sono un consenso enorme) dall’immensa opacità con cui -senza violare alcuna legge- si possono governare le città d’Italia.

La prima causa del crollo della pubblica moralità sta nella cancellazione di qualsiasi norma urbanistica. Da due decenni vige come noto una zona franca sconosciuta nell’Europa civile in cui un sindaco può variare a proprio piacimento le destinazioni urbanistiche senza essere ostacolato da nessuno. Per realizzare una lottizzazione in una zona agricola occorre andare dal sindaco: sarà lui a portare a buon fine l’affare. E di grandi affari si tratta: dieci ettari di terreno agricolo valgono poco sul mercato immobiliare: se diventano edificabili salgono anche a centinaia di milioni. Senza pensare che non avvengono dazioni di denaro (e a leggere le cronache di questi giorni si fa fatica) i sindaci stringono legami economici e controllano posti di lavoro.
La seconda causa sta nella legislazione degli appalti pubblici. Le ultime norme imposte dal duo Berlusconi-Tremonti e lasciate in vita dagli attuali “tecnici”, hanno portato a 500 mila euro il limite con cui si può procedere all’affidamento mediante trattativa privata. Anche in un periodo di ristrettezze economiche, un sindaco appalta molti lavori pubblici: consentirgli di affidarli a proprio piacimento è indegno di un paese civile. E in questo modo il legame con il mondo economico si rafforza ulteriormente e si continua a disporre di posti di lavoro.

La terza causa sta nella cultura dell’esternalizzazione dei servizi urbani. Affermatosi negli anni in cui sono state privatizzate alcune importanti aziende pubbliche, il morbo riguarda ormai tutti i servizi: dal ciclo dei rifiuti alla gestione dei depuratori. Invece di rimuovere le cause delle inefficienze che esistevano è stata percorsa una comoda scorciatoia: i sindaci possono affidare a imprese amiche la gestione di servizi pubblici, tanto le procedure di controllo sono inesistenti e pressoché impossibile per la magistratura contabile risalire ai bilanci.

E non si pensi che si tratta di un fenomeno che riguarda esclusivamente i comuni piccoli o le piccole imprese. Nelle maggiori città, si pensi al caso da antologia di Parma, la mala politica aveva creato 35 società di settore per gestire i servizi. Altri posti di lavoro e altro vertiginoso debito pubblico. Nelle grandi opere sono state allentate o cancellate le regole ambientali e paesaggistiche. Insomma, il caso Fiorito è il frutto del ventennio del liberismo selvaggio che ha cancellato ogni regola.
Le città non sono più i luoghi del governo della cosa pubblica. Sono le palestre per costruirsi un consenso elettorale ed economico da utilizzare nella scalata verso i vertici dello Stato. Il più urgente compito di chiunque vuole salvare il paese dalla sfiducia è dunque quello di ricostruire regole semplici quanto inflessibili. Guido Rossi (tra i firmatari dell’appello “ Furto d’informazione” apparso su queste pagine il 30 luglio scorso) notava nel suo editoriale di domenica sul Sole 24 Ore che a parole non c’è nessuno che non si definisca “liberale” e fautore di regole. Salvo scorrazzare a piacere nelle praterie di un paese senza leggi che ha svenduto le sue città.