Il differimento e la rateizzazione del TFR /TFS dei dipendenti pubblici è stata un’enorme ed ingiusta operazione imposta dal governo Monti dopo la crisi dello spread del 2011 per dare respiro alle finanze dello Stato utilizzando i soldi dei lavoratori e delle lavoratrici del pubblico impiego. Enorme perché ha riguardato e continua a riguardare centinaia e centinaia di migliaia di dipendenti pubblici; ingiusta perché mette le mani direttamente nelle tasche dei lavoratori che si vedono negato quello che è un loro sacrosanto diritto: percepire quanto gli spetta al momento della fuoriuscita dal mondo del lavoro per limiti di età o di servizio, riappropriandosi di quella parte di salario “differito” accantonato negli anni.
Ingiustizia aggravata anche dal fatto che questa operazione, che solo nel primo periodo ha conseguito l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica - obiettivo cessato nel momento in cui, una volta a regime è diventata strutturale - non riguarda i lavoratori privati. All’impossibilità di percepire anticipi sul TFR si aggiunge quindi quest’ulteriore discriminazione tra settore pubblico e settore privato.
Riteniamo che anche alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale (130/2023) sia arrivato il momento di promuovere un’azione legale per recuperare quanto ci è stato sottratto, in termini non solo economici, ma anche di diritti.
La sentenza n. 130/2023 della Corte Costituzionale ha infatti dichiarato anticostituzionale il differimento e la rateizzazione del TFR/TFS dei dipendenti pubblici, perché in contrasto con il principio della giusta retribuzione contenuto nell’art.36 della Costituzione Italiana.
Il principio della giusta retribuzione, infatti, per la Corte “si sostanzia non solamente nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione”. Tempestività che è evidentemente venuta meno dal momento che i tempi di liquidazione del TFR/TFS per i dipendenti pubblici hanno raggiunto posticipi fino a 7 anni - a seconda del motivo della cessazione dell’attività lavorativa. Eppure, i trattamenti di fine servizio sono componente integrante della retribuzione, salario differito costituzionalmente tutelato, che spetta ai dipendenti pubblici al momento della cessazione dall’impiego per raggiunti limiti di età o di servizio.
La Corte però nella stessa sentenza riconosce di non potere: “allo stato, porre rimedio, posto che il modo delle soluzioni attinge alla discrezionalità del legislatore”, legislatore che a tutt’oggi non è intervenuto a dare concreta attuazione né alla sentenza n° 130/2023 né alla sentenza n. 159/2019 della stessa Corte, che aveva disposto che non venisse applicata alcuna differenza tra pubblico e privato in materia di liquidazione del trattamento di fine rapporto.
È evidente che il differimento, protratto nel tempo, non solo erode il potere d’acquisto a fronte di una crescente inflazione e di un continuo ed inarrestabile aumento dei prezzi al consumo dei beni di maggiore necessità, ma è altrettanto evidente che pregiudica la qualità della vita dei neo pensionati, costretti anche a pagare una penalizzazione in termini di tassi di interesse qualora decidessero di rivolgersi ad Istituti bancari o allo stesso INPS per avere ciò che spetta loro di diritto.
Oltre al danno anche la beffa!
Per questo, abbiamo preparato una diffida da inoltrare all’Inps ed alle Amministrazioni di riferimento con cui chiediamo, prima ancora di lasciare il posto di lavoro per raggiunti limiti di età o di servizio, che la corresponsione del dovuto TFR/TFS avvenga entro 30 gg. dalla collocazione a riposo.
Sono interessati quindi tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici che nei prossimi due anni andranno in pensione, esclusi coloro i quali decideranno di uscire anticipatamente dal mondo del lavoro rispetto alla regola generale utilizzando le possibilità previste dalla legislazione vigente.
Alla diffida, che ha anche valore di interruzione della prescrizione e/o eventuale decadenza, seguirà, al maturare delle condizioni, un ricorso per chiedere il pagamento di quanto spettante, compresi gli interessi, in termini di risarcimento dei danni e di perdita del potere di acquisto a causa del ritardo nella corresponsione di quanto dovuto.
Diffida e ricorso sono totalmente gratuiti per gli iscritti USB.
USB Pubblico Impiego