Ai lavoratori dell'Ufficio provinciale del Territorio di Savona
A tutti i lavoratori del comparto Agenzie Fiscali
Abbiamo letto con molto interesse la vostra comunicazione inviata a tutte le Organizzazioni Sindacali e riteniamo importante la vostra considerazione per la quale la partecipazione allo sciopero del 14 giugno sia nata dalla condivisione delle motivazioni che hanno spinto la nostra sigla a proclamarlo. E le nostre motivazioni partono da lontano.
Quando si invita a riflettere sul perché si proclamino gli scioperi solo adesso, noi vorremmo ricordare a tutti che già il 28 marzo 2009 RdB indisse uno sciopero chiedendo che gli effetti della crisi non piombassero sulle spalle dei lavoratori.
Non è che siamo più furbi di altri, è solo che queste derive la nostra sigla le ha ben presenti già da molto tempo e da molto tempo aveva sollecitato i lavoratori ad alzare la testa (ricorderete certamente le numerose assemblee ai tempi della sottoscrizione del memorandum sul Pubblico Impiego, primo nefasto atto di svendita dei nostri diritti).
Non è vero che gli scioperi non servono, anzi essi hanno una forte valenza politica. I vari governi non stanno lì a misurare il livello del disservizio, ma registrano il numero di adesioni perché è questo che rende l'idea di come un sindacato sia in grado di incidere nell'opinione dei lavoratori. In questo momento di forte tensione, la conta tra chi aderisce a uno sciopero e chi a un altro, chiarisce quanto i sindacati "compiacenti" abbiano o meno potere di contenimento del conflitto e quindi quale sia la loro capacità di far digerire ai lavoratori pubblici anche i sassi. Se lo sciopero fosse un'arma spuntata, non ci sarebbero state così tante norme per limitare l'accesso a questo diritto costituzionale. Lo sciopero fa ancora paura e non è una cosa inutile. Ma a quale sciopero aderire?
Sull'indizione degli scioperi singolarmente non possiamo fare altro che proseguire su questa linea e lo facciamo proprio per essere vicini al mandato che i lavoratori assegnano al ruolo del sindacato come lo intendiamo noi: difendere i diritti. La nostra richiesta di modifica della finanziaria – che ha avuto il suo momento più alto proprio con lo sciopero del 14 giugno - si basava sull'assunto che i dipendenti pubblici stanno pagando la crisi ormai da anni, come dimostra il progressivo impoverimento di quello che una volta era o poteva diventare il ceto medio. La verità nuda e cruda è che ormai in Italia con uno stipendio non si arriva alla fine del mese. E ci riferiamo allo stesso paese in cui le ricchezze sono concentrate in modo così abnorme nelle mani di pochi cittadini (meno dell'1% della popolazione) che alcuni personaggi possono lamentarsi quando gli viene sequestrato lo yacht, poiché il proprio figlio ne starebbe soffrendo. Non sono le lamentele a risultare indigeste e a offenderci (anche quelle), quanto la constatazione che questa crisi finanziaria ha approfondito le inaccettabili disuguaglianze sociali che nel nostro Paese sono molto più alte che in altri Paesi ad economia avanzata.
La crisi va pagata da chi l'ha provocata traendone enormi vantaggi in termini di profitti e speculazione, e non più da noi. Questo è il nostro semplice, definitivo assioma. Certo, è facile imporre i sacrifici promettendo che si farà molto anche sul fronte della lotta alla corruzione, alla speculazione, all'evasione fiscale. Contro di noi si fa la manovra (presente indicativo) mentre contro gli altri si prenderanno misure (futuro molto incerto). Dunque, basta con la ricetta dei sacrifici per i dipendenti pubblici. Il livello delle retribuzioni, che in Italia è di circa 10mila euro inferiore alla media dei Paesi UE, il fatto che la stessa Banca d'Italia dichiara in Parlamento che la capacità di consumo delle famiglie italiane è progressivamente tornata, negli ultimi anni, ai livelli del 1995 1 (a causa della politica dei redditi evidentemente), tutto ciò dimostra che i dipendenti pubblici NON DEVONO PIÙ FARE SACRIFICI, perché NE HANNO GIÀ FATTI TROPPI!
La posizione marcata da RdB-USB è chiaramente diversa da quella fatta registrare dagli altri soggetti sindacali. Ampie porzioni del sindacato confederale – ci riferiamo a Cisl e Uil – hanno apertamente e pubblicamente sostenuto la manovra, giudicata pesante ma necessaria, confermando così la scelta - tanto legittima quanto sciagurata – di sostenere la politica economica del Governo contro la crisi. I sacrifici imposti al mondo del lavoro sono la solita vecchia ricetta, come se un'altra politica economica non fosse possibile, come se non ci fossero altre strade, meno immediate ma più eque; come se i sacrifici imposti ai dipendenti pubblici, ai pensionati, ai precari e ai disoccupati, fossero l'unica ricetta per coprire i buchi generati da banche, finanzieri, speculatori, corrotti ed evasori.
A favore e non contro la manovra, si è più o meno velatamente espressa buona parte del mondo confederale, che con un effetto-risucchio ha trascinato con sé anche il sindacato autonomo. Perfino le posizioni più critiche – e ci riferiamo alla Cgil – non hanno sciolto il dubbio che se la manovra fosse stata proposta da un altro Governo di un altro colore, il giudizio sarebbe stato meno duro, forse addirittura positivo, in nome di quella responsabilità che autorevoli esponenti del maggiore partito di opposizione hanno invocato plaudendo alla manovra e dichiarandola necessaria in nome del solito patto di stabilità UE.
Alcune iniziative sono quindi sortite da una dialettica sindacale tutta interna e autoreferenziale, altre non convincono perché sembrano strumentali a logiche di opposizione politica, più che sindacale. E le lacerazioni anche profonde che si sono aperte in seno al mondo confederale dimostrano l'inconsistenza di eventuali percorsi unitari e la necessità, ora più che mai, di tenere distinte le diverse posizioni. Si può dare credito a pseudo-vertenze unitarie che mettono insieme tutto e il contrario di tutto? Che prospettive hanno, quali risultati sono destinate a raggiungere queste pseudo-vertenze?
Naturalmente ciascuno è libero di scegliere da chi farsi rappresentare. La militanza o l'adesione sindacale non sono una questione di tifo calcistico, ma di contenuti. Il rispetto che abbiamo delle altrui posizioni ci impone di rispettare innanzitutto le nostre: siamo nati per difendere i diritti dei lavoratori, non per sacrificarli alla prima occasione. E, coerentemente con questa scelta, nessun desiderio di unità sindacale ci farà mai perdere di vista i nostri obiettivi, che scaturiscono da una visione del mondo del lavoro che purtroppo ci sembra inconciliabile con quella che altri esprimono e praticano.
Un fronte sindacale frammentato non è certamente il massimo della vita, come non è il massimo della vita la constatazione che ancora molti, troppi lavoratori, delegano la tutela dei loro diritti a chi poi li sacrifica troppo facilmente e arrendevolmente.
RdB-USB però non rinuncia all'idea di costruire l'unità sindacale a partire da una incondizionata e inalienabile difesa dei diritti, del salario e della dignità di tutti i lavoratori: pubblici, privati, precari, pensionati o in attesa di prima occupazione.
Noi abbiamo già dato, ora paghino quelli che con i nostri soldi si sono arricchiti!